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Natale 2021

“Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce” - omelia Natale 2021

In questi giorni un ragazzo mi ha scritto in un messaggio: vorrei capire dove stia andando la mia vita e dove Dio mi chiede di orientarla. Mi daresti un consiglio?

La domanda mi ha lasciato un po’ stranito perché non è facile capire dove orientare la propria vita, sapere dove Dio la stia muovendo (non è facile per la propria, ma ancor di più per gli altri). Ho conservato per me questa domanda lasciandomi interrogare dal tempo liturgico del Natale.

Nei racconti dell’infanzia di Gesù vi sono uomini e donne che cercano un orientamento: i pastori e i magi; il vecchio Simeone, Maria e Giuseppe. Così come nel primo testamento è possibile cogliere come in tutta la storia di Israele vi sia un cammino verso qualcosa. Ce lo ho ricordato Isaia: “Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce”.

“Dove stiamo orientando la nostra vita? Da cosa sono mosse le nostre scelte?” sembra sia la stessa domanda dei magi che si chiedono: “Dov'è il re dei Giudei che è nato?”. 

Questa domanda vogliamo sentirla nostra non tanto come una questione prettamente filosofica o psicologica, ma come una provocazione che interpella la nostra stessa fede.  Perciò cercheremo una risposta a partire dalla nostra esperienza di Dio, dalla domande che essa stessa suscita nella nostra vita così come è accaduto a Maria e agli apostoli di Gesù.

Affinché il Natale di Gesù ritorni ad essere una questione di fede è necessario non solo rivendicarne le sue radici, ma permettere al vangelo di porre domande nuove e vere alla nostra vita, così come le ha poste a coloro che, per la prima volta, si sono imbattuti nel mistero di Cristo. 

Cosa celebriamo nel Natale di Gesù? 

L’evangelista Giovanni e l’apostolo Paolo ci consegnano una sintesi di questo grande mistero: “Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe. Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto. A quanti però l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,9-12); “Cristo Gesù pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall'aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce” (Fil 2,5-8).

In queste parole, come nei racconti dell’infanzia di Gesù, riscopriamo tre orientamenti per la nostra vita, tre fari per camminare nella storia alla ricerca di un senso e significato.

Vogliamo, perciò, ascoltare il “primo annuncio” del Natale di Gesù rivolto per noi, come se fosse la prima volta. Non a caso la liturgia ci annuncia: “Oggi Gesù è nato”. Oggi noi celebriamo un incontro, un luce che ha illuminato il buio della nostra vita, un volto che ha cambiato la nostra esistenza, che ci ha resi per Dio non estranei o ospiti, ma figli. Siamo qui perché ci siamo accorti che abbiamo un Padre che provvede a noi, un Padre di cui Gesù ci ha rivelato una caratteristica: la bontà. “Nessuno è buono, se non Dio solo” (Lc 18,19).

Di questa bontà hanno fatto esperienza Maria, Giuseppe, i pastori, i magi, e, in seguito, gli apostoli e tutti coloro che hanno conosciuto Gesù.

Questo annuncio è disarmante. Forse avremmo compreso meglio un dio guerriero, un dio vendicativo, uno che scende in campo con noi per vincere una guerra, ma Gesù ci rivela semplicemente un Dio buono, un Dio più buono di noi. Non possiamo non chiederci se davvero crediamo che Dio sia semplicemente buono. 

Per crederci dovremmo fare l’esperienza di Maria che, nel silenzio della sua vita, si sente cercata, amata e colmata della bontà di Dio. Chissà cosa avrà sentito nel suo cuore quando ha percepito che sarebbe stata riempita di un dono così grande. Forse anche noi avremmo detto: “com’è possibile?”, “come è possibile che Dio sia così buono come me? Che non mi ricambi con la stessa moneta? Che continui a cercarmi anche quando io mi allontano da Lui? Forse, come Pietro, anche noi dinanzi alla bontà di Dio, prenderemmo in disparte Gesù per rimproverarlo o gli diremmo sbigottiti “Signore, tu lavi i piedi a me?” (Gv 13,6).

Questa esperienza potremmo chiamarla “benedizione”. Il Natale è la festa della benedizione di Dio. Se ne è accorto Zaccaria quando, finalmente liberato dalla sua incapacità di parlare, esclama: “Benedetto il Signore Dio d'Israele perché ha visitato e redento il suo popolo” (Lc 1,68), lo ha detto Elisabetta riconoscendo il Maria la benedizione di Dio “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo” (Lc 1,42).

Sabato scorso una persona che mi ha scritto che dopo tanti anni finalmente era riuscita ad uscire dal tunnel della ludopatia. Quando l’ho conosciuta non aveva più nulla, aveva perso nel gioco tutti i suoi risparmi ed era rimasta sola. Accompagnata da uno psicoterapeuta e da un sacerdote è riuscita a riavvicinarsi alla fede e a liberarsi dal peso che la teneva legata. Dio è entrato nella sua vita come una luce, un dono, una benedizione.

Quando ci riconosciamo benedetti dal Signore, quando sperimentiamo il tocco benedicente di Dio sulle nostre vite comprendiamo che la nostra vita ha un orientamento fondamentale: siamo orientati verso il bene. Ce lo ricorda S. Giovanni: “Carissimo, non imitare il male, ma il bene. Chi fa il bene è da Dio; chi fa il male non ha veduto Dio” (3Gv 11).

Ecco un primo orientamento che riceviamo dal Natale: cerca nella tua esistenza sempre il bene. Se farai il bene,  Dio, come una luce, apparirà nella tua vita. 

Cosa vuol dire voler bene? S. Tommaso, nella Summa Teologica, scrive: “amore è voler bene a qualcuno” (questio XX,1.2). La carità è la sorgente del Natale: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito” (Gv 3,13). Il mistero del Natale ci insegna che il bene verso cui orientiamo la nostra vita si esprime in una esperienza: l’amore. Se smettiamo di amare, finiamo per non desiderare più il bene, neanche il nostro. Non c’è un altro linguaggio con cui possiamo esprimere il bene se non l’amore. Quando si smette di amare, un po’ alla volta, si finisce per perdere di vista il bene dell’umanità. La bontà è il sapore delle nostre opere: “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli” (Mt 5,16).

Di qui un secondo orientamento. Se cerchi la felicità, quella vera, profonda, essenziale, non smettere mai di amare. Nell’amore troverai te stesso. Non avviene mai il contrario. A volte ci diciamo: se ami te stesso, allora puoi amare gli altri (penso che questa sia una illusione che, a volte, ci raccontiamo per giustificare i nostri egoismi). Gesù ci ha insegnato che se amiamo gli altri, allora riusciamo anche ad amare noi stessi. L’amore è uno slancio verso gli altri, se si ripiega su noi stessi facciamo la fine di Narciso che pensava di amare, ma aveva confuso l’oggetto dell’amore con il riflesso su se stesso, privandosi, così, dell’amore verso l’altro e, alla fine, anche di quello verso se stesso.

Il nostro Maestro non ci ha insegnato che “Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà” (Lc 9,24)? Chi sceglie il bene dell’altro, necessariamente, sceglie di perdere se stesso. Questa perdita si esprime attraverso un deficit, una mancanza che sperimentiamo nella nostra vita e che si esprime in una esperienza: il dono. 

Non sarà un caso che il linguaggio con cui si esprime si vive il Natale nella nostra comunità sia quello del dono. Purtroppo la mentalità consumistica ha ridotto il dono al consumo, ma la sua radice è importante. Il Natale risveglia in noi la consapevolezza che la vita ha la sua radice profonda nel dono: essa è un dono dall’inizio alla fine. Nel dono di noi stessi sperimentiamo una nuova luce verso cui orientiamo la nostra esistenza. Ce lo ricorda S. Paolo “Dio ama chi dona con gioia” (2Cor. 9,7). Quanto sono tristi quelle vite attaccate alle proprie sostanze, quanto piccole le storie di chi ha vissuto accumulando beni e dimenticando che, come ci ricorda il vangelo (Lc 12,13-21), nella notte stessa in cui ci si sente soddisfatti, ci viene richiesta la vita.

A chi cerca come orientare la propria vita, potremmo consegnare un terzo orientamento: non aver paura di donare, non farti i conti. Tu vali di più delle tue cose. Dona con gioia e sentirai nella tua vita l’amore provvidente di Dio che “nutre gli uccelli del cielo e veste i gigli del campo” (cf. Lc 6,25-33). 

Cerca il bene, ama e dona. Nel Natale cogliamo questi tre atteggiamenti che cambiano la nostre vita profondamente.

Anche Maria, dopo aver incontrato Dio, si sarà chiesta: dove sta andando la mia vita? Verso cosa posso orientarla?

Con queste domande ho riletto il Magnificat, il cantico in cui Maria, gioendo per il dono di Gesù, racconta ad Elisabetta le grandi cose che Dio stava realizzando nella sua vita e nel suo popolo. 

Mi piace immaginare Maria come un’adolescente innamorata che, giunta a casa di sua cugina, racconta cosa le sta capitando. 

Nel Magnificat possiamo cogliere alcuni tratti del primo annuncio del Natale. Mi sembra di sentire la voce di Maria che, col cuore pieno di gioia, dice ad Elisabetta: sai cosa succederà appena gli uomini si sentiranno amati da Dio? Si riaccenderà in loro il desiderio di compiere il bene e tutti saranno amati allo stesso modo: gli umili saranno riconosciuti nella loro dignità, chi ha fame sarà saziato e coloro che appartengono al popolo di Dio sperimenteranno la sua provvidenza.

Non sarà così, però, per i superbi che resteranno confusi e cammineranno nel buio, né per i potenti e gli oppressori dei più piccoli che, invece, cadranno dai loro posti di potere, né per i ricchi che si ritroveranno a mani vuote. Immagino lo sguardo disorientato di Elisabetta che per credere alle parola di Maria ha avuto bisogno di un sussulto nel grembo dal Battista che, da quel luogo di grazia, incominciava a gioire come gioisce l’amico dello sposo.

Le parole della Madre di Gesù ci raccontano una trasformazione che viene dal Natale di Gesù, un cambio di mentalità che, dobbiamo riconoscere, fa fatica ad entrare nella storia. Riascoltandolo ci accorgiamo che le grandi opere che Lei ha raccontato sono iniziate nel suo cuore: grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente.

È nel cuore che si realizza la nascita del Salvatore, è lì il luogo in cui siamo soccorsi e consolati o abbattuti e spogliati. 

È con il cuore che si crede (cf. Rm 10,10); è con il cuore che si compie il bene (2 cor 9,7).

Nel cuore è custodita la bussola della nostra vita, lì comprendiamo che le scelte fondamentali della nostra esistenza sono orientate verso il bene, che non possiamo fare il bene senza l’amore e che non possiamo amare senza decidere di donare. 

L’apostolo Paolo, rivolgendosi alle sue Comunità, più volte le ha esortate a non essere pigre, a non stancarsi nel fare il bene (Rm 12,11, Gal 6,9, 2Ts 3,13). Dio è buono e vuole che noi siamo come lui. Non facciamo in modo che la stanchezza, la sfiducia, la pigrizia ci renda immobili nel fare tutto il bene possibile. A volte mi è capitato di sentir dire da qualcuno “forse ho sbagliato ad essere troppo buono”. Non dimentichiamo il Magnificat: Dio compie grandi opere in chi sceglie di fidarsi di Lui.

Durante la messa, nel “Confesso” chiediamo perdono a Dio per i peccati di omissione. Cosa sono? Solo le occasioni in cui potevamo fare del bene e non lo abbiamo fatto. Chiediamo perdono a Dio per le volte in cui potevano dire una parola buona e non l’abbiamo fatto, potevamo fare un dono e lo abbiamo trattenuto per noi, potevamo pensare e desiderare il bene e, invece, abbiamo preferito non fare nulla.

In questo tempo ci sentiamo un po’ tutti stanchi come i pastori, smarriti come i magi, ma il vangelo del Natale ci racconta una storia nuova, una storia possibile, una via su cui camminare per orientare la nostra vita. A chi ci chiede dove possiamo andare? non stanchiamoci di raccontare, con la nostra vita, che è possibile essere felici se scegliamo di cercare sempre il bene, di amare e vivere la nostra esistenza sempre come un dono. 

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