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L'asciugamano: un pro-memoria per non lasciare i piedi bagnati

In questo anno pastorale abbiamo messo al centro della nostra riflessione il tema della “Comunità educante”. La parrocchia è il luogo in cui sperimentiamo percorsi educativi in cui tutta la comunità è educata dal Maestro alla vita piena del Vangelo. 

Nei vangeli l’appellativo “maestro” (“rabbì”) è attribuito a Gesù in diverse occasioni ma solo nell’ultima cena Gesù stesso si auto-definisce maestro, unendo questo appellativo a quello di Signore. Quest’autodefinizione di Gesù rende il racconto dell’ultima cena unico non solo per i gesti compiuti ma anche per il significato che a questi viene attribuito dallo stesso Signore.

Perciò, prima di dirci cosa dobbiamo fare, egli ci racconta qualcosa di se stesso. In quei gesti ci rivela un tratto fondamentale della sua vita. 

Tutto questo non avviene con un discorso ma con la loquacità delle azioni che l’evangelista Giovanni ci descrive con una minuziosità e una ritualità che conservano  il loro fascino.

Come Gesù ammaestra la sua comunità? come rivela il volto di Dio? Attraverso un movimento che ci racconta il suo primo passo (si alzò da tavola), la sua vicinanza (depose le vesti), il suo servizio (lavò i piedi), la sua cura (li asciugò con l'asciugamano), la sua signoria (riprese le vesti e sedette di nuovo).

Il presbitero, seguendo alla lettera questo cerimoniale, e non senza emozione, ripeterà i gesti rivelatori della identità del Maestro e userà alcuni oggetti eloquenti: la veste, la brocca, il catino e l’asciugamano.

Questi, però, non riguardano soltanto la vita del sacerdote o di alcuni membri a servizio della chiesa. Gesù ci dice che questo è lo stile ecclesiale, il linguaggio con il quale noi siamo al mondo: “anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri”. Quindi, quest’azione di Gesù dice qualcosa anche di noi, dello stile del discepolo che, continuamente, impara da Gesù ad essere se stesso: è un'azione esemplare per tutti.

Tante volte ho ripetuto la lavanda dei piedi nella nostra Comunità lasciandomi interrogare sul mio modo di essere discepolo di Gesù, sul servizio che caratterizza essenzialmente il mio sacerdozio.

Le vesti, la brocca, l’asciugamano continuano ad interpellare il mio stile di vita.

Le vesti deposte da Gesù ci ricordano che non possiamo essere servi e conservare il nostro bagaglio di pregiudizi, attese e idee. Ogni servizio è anticipato da una spogliazione. Lo sappiamo bene: anche il servizio più nobile se è rivestito con le vesti dell’orgoglio, della supponenza, della vanagloria non ci permette di giungere fino ai piedi. Il servizio ci chiede un gesto di libertà e nudità. Una libertà interiore rispetto ai nostri ruoli e compiti.

Così come sono necessari la brocca e il catino. Un servizio che non si esprime in gesti concreti, in opere e risposte efficaci ci potrebbe indurre a pensare di poter lavare i piedi senza acqua. Oggi più che mai, non sappiamo cosa farcene di gente che si riempie la bocca di parole come carità, giustizia, cura e poi si presenta senza gli strumenti necessari per intervenire nella storia. Non ci bastano i “mi dispiace”, “poveretti”, “andrà tutto bene” se non sono accompagnati da gesti concreti di responsabilità e condivisione. 

La brocca e il catino rappresentano le scelte quotidiane con le quali ci prendiamo cura di chi ci è accanto: il lavoro che la mamma e il papà svolgono ogni giorno per il bene della loro famiglia, l’attenzione con la quale ci prendiamo cura della nostra casa, l’impegno costante di chi in parrocchia si dedica al servizio della liturgia, del canto, della cura dei fiori e suppellettili, al servizio dell’annuncio del vangelo, dei ragazzi e giovani, della programmazione e verifica, così come nel servizio della carità attraverso la mensa quotidiana, il centro d’ascolto e l’emporio, la casa per gli stranieri. 

Quante brocche e catini possiamo riconoscere nelle nostre case e nella nostra comunità: non sono suppellettili tirate fuori dai cassetti di un sacrestia, ma gli strumenti del nostro servizio. Lo abbiamo imparato da Lui. 

Questa sera, però, vorrei con voi guardare ad un altro piccolo segno di questo eloquente gesto del Maestro, quello forse meno evidente ma non meno loquace: l'asciugamano.

Questo panno usato da Gesù lascia trasparire la tenerezza e la cura del Maestro nel lavare i piedi e diventa per noi un appello a non lasciare i piedi bagnati, dopo averli lavati.

Chi è chiamato a lavare i piedi non può dimenticarsi di asciugarli.

Mi ha fatto pensare molto questo panno che cinge, quasi come un pro-memoria, i fianchi del Signore, un segno ricco di attenzione e cura, che non fa della lavanda dei piedi un servizio a metà. 

Ho pensato a come, a volte, potremmo sentirci a posto dopo aver fatto il nostro dovere: abbiamo lavorato per “portare il pane a casa”; abbiamo portato i bambini a scuola, al catechismo, in piscina; abbiamo fatto le nostre ore di volontariato o ci siamo presi cura dei nostri servizi in parrocchia. Abbiamo lavato i piedi. 

Lo stesso potrei dirlo per me: quante volte, munito di brocca e catino mi sono preoccupato di fare servizi, realizzare opere o iniziative, avviare attività o programmare impegni. 

Lavare i piedi ci aiuta a sentirci discepoli, a vivere una parte del Vangelo ma, a volte, ci stanca o ci svuota. 

Immagino la fatica di chi, tornato a casa, si sente svuotato o affaticato per i suoi impegni quotidiani. Ci sembra di aver fatto ciò che dovevamo fare, di aver compiuto il nostro dovere e tutto ciò ci fa sentire a posto con la coscienza. 

Ma c’è un ultimo gesto che non possiamo dimenticare e di cui l’asciugamani è un pro-memoria efficace: asciugare i piedi che abbiamo lavato. Il servizio va portato a termine. Come? Con un gesto di tenerezza e calore. 

Ho pensato, in questi giorni, a cosa potrebbe dire a me questo pezzo di stoffa attorno ai fianchi. 

  • Mi è venuto in mente il mio modo di pregare e quanto mi faccia bene, al termine della messa, fermarmi pochi minuti per il ringraziamento. Mi aiuta a prendermi cura del mio cuore, a non farmi sentire sazio, a vivere quella celebrazione non come un dovere fatto a Dio ma come un incontro col mistero. Questa sera lo faremo insieme al termine della messa;
  • Ho pensato a quando mi capita di aiutare qualcuno e non fermarmi a chiacchierare. Oppure alla volte in cui la preoccupazione di risolvere un problema lascia irrisolto un ascolto più attento.
  • Mi sono venute alla mente le discussioni o le liti fatte con alcuni amici e terminate senza un gesto di affetto o di vera riconciliazione; dove la questione, rimasta tutte sulle ragioni, ha lasciato incompiuta la nostra relazione. 
  • Ho pensato a quando mi sono accontentato di aver fatto il mio dovere, di aver risolto un problema o avviato una iniziativa senza preoccuparmi di comunicare quanto avessi a cuore coloro per i quali avevo fatto tutto questo.

Quanti asciugamani ho lasciato appesi al muro perché le mani erano ancora occupate dalla brocca e dal catino!

Durante la messa, dopo la lavanda dei piedi, ho sempre lasciato, sotto la casula, il grembiule. Oggi per me sarà un pro-memoria per non lasciare i piedi bagnati. Un richiamo a non preoccuparmi tanto di raccogliere le lacrime altrui quanto di asciugarle con gesti di vicinanza e tenerezza.

L’asciugamano è un richiamo per tutti noi, cari fratelli e sorelle. Non riduciamo l’amore ad un dovere, un compito, un impegno. L’amore non è soltanto il legame che ci unisce con persone affini. Per noi cristiani l’amore è il senso di tutto ciò che siamo e facciamo. 

A volte, dinanzi a Dio ci sentiamo così fragili, vulnerabili, incompiuti. Vorremmo che lui ci guardasse con occhi benevoli, dopo aver compiuto il nostro dovere, da bravi scolaretti. Quando, invece, si avvicina ai nostri piedi per asciugarli, per riscaldarli con la sua provvidenza e misericordia, siamo un po’ come Pietro: tu lavi i piedi a me? 

Questa sera, con stupore, vorrei chiedere: tu, Signore, asciughi piedi a me? Non ti basta averli toccati e lavati? Tu ti prendi cura di me che sono così piccolo, fragile e debole?  Chi sono io per Te? chi potrei essere ora senza di Te? Dove potrei trovare questo calore, questo senso senza di Te?

Il Maestro ci insegna ad essere una comunità educante, cioè una comunità che non solo compie il suo servizio ma si preoccupa di asciugare i piedi di coloro che sono a fianco a noi. 

  • Ci ricorda, quando torniamo a casa, non solo di portare con noi la soddisfazione e la stanchezza del nostro lavoro quotidiano, ma anche di perdere un po’ di tempo ad ascoltare e coccolare coloro che fanno della nostra dimora una casa; 
  • ci invita a ricordarci che non siamo una comunità di supereroi ma che tutti abbiamo bisogno di un gesto di attenzione, gratitudine e affetto. 
  • Ci ricorda che non possiamo essere maestri se non siamo discepoli, né guide se non ci lasciamo guidare.

In un clima sociale caratterizzato dall’efficienza e dalla frenesia potremmo preoccuparci di contare i piedi da lavare e di dimenticarci di asciugarli. Potremmo immergerci nel nostro lavoro cercando solo soddisfazione e gratitudine dimenticando chi incontriamo.

Gesù, attraverso la lavanda dei piedi, ci insegna l’essenziale della vita cristiana, ciò che resta di tutto ciò che facciamo, ciò che è necessario per vivere una vita piena. 

Il Maestro ci lascia una veste, un brocca, un catino ed un asciugamano. Sono gli strumenti necessari per vivere una vita come dono. Non dimentichiamo nulla.

  • Lasciamoci spogliare dalle nostre sicurezze anche se, a volte, tutto questo ci disorienta e rende vulnerabili;
  • Portiamo con noi la brocca e il catino per rendere l’amore il gesto più eloquente della nostra vita;
  • Ma, soprattutto, non lasciamo da parte l’asciugamano perché ogni nostra scelta o azione possa trovare la sua compiutezza non nel dovere ma nella tenerezza.

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