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Il Verbo si fece carne. La piccola via della santità

 A Betlemme, 2000 anni fa, è avvenuto qualcosa di straordinario, inimmaginabile: Dio ha scelto di diventare uno di noi, di essere presente nella storia dell’umanità attraverso la vita, le parole, i silenzi di Gesù di Nazareth. Oggi siamo qui per fare memoria di questo grande mistero con l’umiltà dei pastori e lo stupore dei magi. 

In una notte qualsiasi si è accesa una piccola luce in una delle tante casette di Betlemme e, nel vagito di un bambino, è iniziata la storia di Dio in mezzo a noi. L’incarnazione di Gesù è un mistero avvolto dal silenzio, dalla contemplazione e ci chiede il salto dello fede. In cosa crediamo?

a. La presenza di Dio

Innanzitutto, il Natale di Gesù ci dice che Dio desidera stare con gli uomini, parlare con loro come ad amici, essere presente con la sua carne, la sua storia, la sua vita. Nella naturale indifferenza della città, Dio si fa presenza.

Essere presenti vuol dire accorciare le distanze! Egli “scende dalle stelle” e “viene in una grotta”. 

A volte si pensa che l’interesse per le cose o verso se stessi ci chieda una scalata fino alle stelle. Potremmo pensare che per essere una “presenza che conta” sia necessario diventare una stella, una star, farsi strada scavalcando gli altri. Ma il modello della vita cristiana (non solo degli adolescenti ma anche degli adulti) non sono le star ma i santi!

Gesù, entrando nella storia, non lo fa da supereroe, né attira l’attenzione su di sé. Non entra nel mondo così come entrerebbe un ricco manager in una convention internazionale. 

Entra nella storia in silenzio, un silenzio che dura circa trent'anni.

Cosa avrà fatto Gesù in quegli anni? Ha imparato a camminare, a parlare, a scrivere. Ha conosciuto la nostra umanità. 

La presenza silenziosa di Gesù è un racconto eloquente di come Dio sta nel mondo. 

Non è, forse, silenziosa tutta la creazione? Non è silenzioso il movimento dei pianeti, il battito del nostro cuore, la forza vitale che fa sbocciare i fiori e cadere le foglie? A Betlemme e a Nazareth Gesù ci racconta la presenza silenziosa di Dio che non fa prediche, non chiede, non spiega. Sta in mezzo. 

Egli sta in mezzo a noi in silenzio, sta in mezzo a noi nella natura fragile della nostra umanità: come un bambino, come un adolescente, come un giovane uomo. Nei vangeli ci viene raccontata la storia di un uomo semplice che nasce in una piccola casa, si fa vicino ad altri uomini e donne, e lo fa vivendo con loro, parlando con linguaggi semplici, non assumendo ruoli o incarichi particolari, non vestendo con abiti sontuosi. Con i suoi discepoli cammina, parla, spiega, spezza il pane, piange, sorride, scherza. 


b. L’interesse di Dio

Quanto è eloquente per noi questa presenza di Dio tra le case di Betlemme. Parla del nostro modo di essere cristiani. All’indifferenza del mondo, noi non contrapponiamo il distacco, il disinteresse, la distanza o la freddezza. Il Natale è il racconto dell’interesse di Dio per la nostra vita. Interesse vuol dire proprio questo: stare in mezzo, partecipare.

A Gesù interessa la vita degli uomini, specialmente di quelli di cui nessuno si interessa e per fare questo, egli distoglie lo sguardo da se stesso. 

È questa la seconda parola che portiamo in questo giorno: interesse. 

Gesù sceglie di essere presente e lo fa nascendo in un piccolo villaggio, facendosi conoscere dai pastori. Non dimentichiamo che i pastori non erano piccole statuine di cartapesta, addolcite dal pennello di un artista. Erano uomini, donne, bambini emarginati, impuri, che vivevano alla periferia della città. 

Gesù si fa presenza lì dove gli altri non vanno, nelle situazioni definite da tratto forte della indifferenza della città


Da dove nasce l’interesse di Dio per gli uomini? Ce lo ricorda il canto di Natale; “ah quanto ti costò l’averci amato!” Questo è il centro della nostra fede. Dio sta in mezzo a noi perché ci ama e, così, ci insegna ad amare.

In questo Natale mi piacerebbe condividere due esperienze della nostra fede da cui impariamo a cogliere l’interesse e la presenza di Dio nella nostra vita.


1. La “piccola via” di S. Teresa di Lisieux

S. Teresa di Lisieux, guardando il bambino di Betlemme comprese che non c’è un’altra via per incontrare Gesù se non la stessa che ha perseguito lui: farsi bambino. 

Questa la “piccola via”, che Teresa indica come l’ascensore, ci permette di incontrare Dio. Scrive così: “Ho sempre desiderato essere una santa, ma - ahimé - ho sempre accertato, quando mi sono paragonata ai santi, che tra essi e me c'è la stessa differenza che c’è tra una montagna la cui vetta si perde nei cieli e il granello di sabbia oscura calpestato sotto i piedi dei passanti”. 

Ma la distanza tra la sua vita e quella dei santi non la scoraggia. Ella pensa che Dio non avrebbe potuto farle venire questo desiderio se non fosse possibile. 

E, così, si mette alla ricerca di “una via ben dritta, molto breve, una piccola via tutta nuova” per incontrare Dio, “un ascensore per salire la dura scala della perfezione”, e, nei libri dei santi legge queste parole: "Se qualcuno è piccolissimo, venga a me”. [...] Come una madre carezza il suo bimbo, io vi consolerò, vi porterò sul mio cuore e vi terrò sulle mie ginocchia" e così esclama: Ah, mai parole più tenere, più armoniose hanno allietato l'anima mia: l'ascensore che deve innalzarmi fino al cielo sono le vostre braccia, Gesù! Per questo non ho bisogno di crescere, al contrario bisogna che resti piccola, che lo divenga sempre più”.

Il Natale ci indica la piccola via della vita cristiana: è la via della vita quotidiana, dei gesti semplici, delle parole dette con cura, dei silenzi prudenti.

È la via semplice dell’Eucaristia.


2. L’Eucaristia

Alcuni si stupiscono dell’indifferenza della gente nei confronti del Natale, a me colpisce di più l’indifferenza dei cristiani nei confronti dell’Eucaristia.

Ci si inginocchia per raccogliere una moneta, ma raramente per adorare il tesoro a cui abbiamo legato il nostro cuore.

Benozzo Gozzoli Presepe di Greccio Chiesa di. San Francesco Montefalco

Prima di una visita medica ci preoccupiamo di spegnere il cellulare, come mai non lo facciamo quando incontriamo il Medico della nostra anima?

Quando la nostra attenzione è concentrata su un canto o un testo non rivolgiamo i nostri sguardi altrove, né ci distraiamo. Come mai quando siamo in processione per ricevere il Signore della vita, ci fermiamo a salutare, dare auguri o condoglianze?

Un canto o un’emozione ci restano nel cuore per molto tempo. Ma la gioia della comunione svanisce ancor prima del ritorno al nostro posto! 

Dovremmo parlare con Lui, stare con Lui piuttosto che con chi ci è accanto o controllare se, in quei pochi minuti, qualcuno ci ha scritto su whatsapp.

Forse abbiamo reso la Messa un obbligo, una legge, un’abitudine, un rito; forse abbiamo fatto della liturgia un’attività da organizzare tanto da mandare messaggi mentre stiamo a messa, scegliere canti, preoccuparci con lo stesso affanno con cui Marta pensava di accogliere il Maestro.


Quando s. Francesco realizzò il presepe a Greccio volle che nella grotta si facesse celebrare una Messa. 

C’è un legame profondo fra l’incarnazione e l’Eucaristia, un legame che troviamo già nelle scritture dove S. Giovanni usa lo stesso termine (sarx) per indicare il Verbo fatto carne e il Pane della vita: “In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita” (6,53).


L’incarnazione ci parla della presenza di Gesù; l’Eucaristia è presenza reale di Cristo.

L’incarnazione avviene nel silenzio, nella vita quotidiana; l’Eucaristia è un mistero che celebriamo nel silenzio della vita.

L’incarnazione è segno della fragilità di Dio che sceglie un corpo umano; l’Eucaristia è un pezzo di pane in cui Gesù si fa presente.

L’incarnazione è la piccola via che possiamo comprendere e vivere attraverso i piccoli gesti quotidiani; l’Eucaristia è la piccola via in cui impariamo il valore di ogni gesto.

L’incarnazione è l’amore di Dio che ci dà la vita; l’Eucaristia è il sacramento dell’amore di Dio in cui ci sentiamo ripetere “questo è il mio corpo… prendete e mangiate”. 


Dovremmo prendere l’Eucaristia tra le nostre mani con la stessa tenerezza e lo stesso amore con il quale prendiamo un bambino;

dovremmo tenerla tra le nostre dita con la stessa attenzione con la quale tocchiamo un corpo fragile;

dovremmo portarla alle nostre labbra con la stessa amorevolezza con la quale diamo un bacio;

dovremmo gustarla e tenerla in noi con lo stesso calore e la stessa fiducia con la quale ci lasciamo abbracciare. 


Se viviamo così il nostro modo di celebrare e adorare l’Eucaristia, un po’ alla volta, Dio ci trasformerà e ci farà essere tra la gente, presenza, attenzione, condivisione, segno del suo amore. 

Gli altri vedranno la nostra presenza, i nostri gesti, i nostri silenzi che diventeranno eloquenti solo se saranno pieni di passione per il Vangelo, di amore per Dio, di tenerezza e amorevolezza. 

Gli altri vedranno i nostri sorrisi, i nostri sguardi, le nostre iniziative o attività ma non sapranno che a muovere ogni cosa non è una idea, un bisogno, un interesse, piuttosto un amore incorruttibile, una forza che viene dal dono dell’Eucaristia, dalla presenza silenziosa di Dio nel nostro cuore.


In questo giorno in cui facciamo memoria della Natività di Gesù fermiamoci in silenziosa preghiera dinanzi all'Eucaristia. Non diremo nulla, non faremo nulla. Come i pastori e i magi lasciamoci illuminare dalla luce della presenza di Dio. 

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