Nel prefazio dei defunti il sacerdote prega: “ai tuoi fedeli, o Signore, la vita non è tolta, ma trasformata”. Questa invocazione ricorda l’atto di fede del credente dinanzi al mistero della morte e, contemporaneamente, unisce la vita del discepolo di Gesù al suo Maestro riconoscendo l’azione di Dio in tutta l’esistenza del credente. Il Signore non ci toglie la vita ma la trasforma.
In quest’azione di Dio, ossia dare una forma nuova, mi sembra di poter cogliere il senso profondo della Pasqua del Signore.
Cosa stiamo celebrando?
Certamente non un anniversario o un ricordo antico, ma un evento che ha cambiato la storia del mondo e la vita dei discepoli. Un incontro, una relazione che hanno il potere di trasformare.
Quando amiamo una persona, lo stare con lei, necessariamente ci trasforma, ci cambia. Attraverso lei impariamo a conoscere tratti della nostra personalità o dimensioni della vita che prima ci erano nascosti o non completamente chiari.
Un'amicizia, un grande affetto, un legame profondo non ci lascia mai così come ci ha trovati. Perciò, la relazione ha un potere trasformante sulla nostra esistenza.
Così è per la fede: solo la relazione con Gesù è capace di creare in noi un cambiamento.
Questa dimensione pone l’incontro con Gesù non solamente nell’ambito della conoscenza o della morale, ma, innanzitutto, nell’ambito della relazione.
É questa l’esperienza fatta dalle donne che si recano al sepolcro, così come dai discepoli di Emmaus, da Pietro e dai dodici. Essi colgono nell'esistenza del Risorto una nuova "fisionomia" e, accogliendolo nel loro cuore, si accorgono che non possono essere più quelli di prima, che la relazione con Lui stava lentamente trasformando la loro esistenza, il loro stesso nome.
La trasformazione diventa così la cifra della loro relazione.
Questo cambiamento è un’esperienza che possiamo raccontare con la nostra vita. È ciò che avviene anche in noi quando riscopriamo il nostro battesimo come l’avventura più significativa della nostra vita; quando la persona di Gesù, finalmente liberata da pregiudizi e paure, diventa l’essenziale della nostra vita.
Comprendiamo, perciò, quanto sia vera l’esortazione di Paolo: “lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rm 12,2).
L’ultima trasformazione, perciò, è il culmine di un percorso che avviene attraverso l’opera dello Spirito nel nostro cuore.
L’incontro con il Risorto avviene nel nostro cuore, il luogo in cui la sua voce e la sua presenza lentamente ci trasformano, facendo risplendere in noi l’immagine dell’uomo nuovo.
Questa trasformazione, lo sappiamo bene, non è indolore. Paolo descrive questo passaggio come un nuovo parto, una nuova lotta, un nuova fioritura.
Questa trasformazione trova in noi, però, alcune resistenze.
Ne accennerò tre:
la durezza del cuore
la paura
le preoccupazioni
1. Il profeta Ezechiele ci ha ricordato l’intervento di Dio nella nostra vita: toglierò un cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Il nostro cuore non diventa duro per caso. A volte alcuni dolori, delusioni o dispiaceri provocano in noi ferite che pensiamo di poter rimarginare solo indurendo il nostro cuore. Il cuore duro è il macigno che portiamo dentro di noi quando la vita ci presenta sconfitte e amarezze, dinanzi alla quali non possiamo che arrenderci. Ci sono due strade. Una porta alla morte, l’altra alla risurrezione.
A volte risuona nel nostro cuore la stessa domanda delle donne che si recano al sepolcro: "Chi ci farà rotolare via la pietra dall'ingresso del sepolcro?" (Mc 16,3). Ci sono macigni che con le nostre forze non riusciamo a rotolare, ferite che non riusciamo a rimarginare, ricordi che facciamo fatica a rimuovere.
All’alba della risurrezione Gesù risorto chiama Maria di Màgdala per nome, riscalda il cuore dei discepoli di Emmaus, chiede a Pietro, per tre volte, se lo ama ancora. Quanta tenerezza nelle parole del Maestro! Quanta misericordia! L’amore di Dio riesce a cambiare anche i cuori più duri, a restituire la pace anche a chi si sente smarrito, a riscaldare e a fasciare le nostre ferite.
Lasciamo fare a Dio. Egli è capace di trapiantare il nostro cuore indurito dalla vita e di renderlo vivo con la sua tenerezza.
Lasciamoci trasformare interiormente permettendo al dolore che scavi, nel profondo del nostro cuore, un solco in cui può trovare spazio la grazia di Dio.
2. Le prime parole dette da Gesù ai discepoli sono “Non abbiate paura”. La paura è un’emozione primaria che tocca la profondità del nostro essere. Reagiamo in modo differente dinanzi alla paura: scappiamo, ci nascondiamo, ci immobilizziamo.
Dinanzi alla proposta della fede potremmo reagire alla stessa maniera. Quando ci accorgiamo che la voce del vangelo potrebbe destabilizzare la nostra vita, trasformarla in qualcosa di nuovo o interpellarla profondamente chiedendoci cambiamenti profondi, allora abbiamo paura. Il coraggio della fede nasce da uno sguardo nuovo sulla nostra vita, dalla nostra capacità di arrenderci all’azione di Dio in noi. Chi ha incontrato il Risorto cambia strada, ritorna sui suoi passi, trova un nuovo entusiasmo, annuncia il vangelo ritrovando in se stesso la gioia di vivere una vita nuova, anche controcorrente.
3. Le preoccupazioni, nel vangelo di Luca, sono i rovi che soffocano l’entusiasmo della fede. Ci sono alcune preoccupazioni che nascono dal nostro desiderio di controllo sulla vita e sulla storia: “Chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita?” (Lc 12,25).
Le preoccupazioni spostano la nostra attenzione dalla vita alle idee. Ci preoccupiamo di apparire o di cose inutili affannandoci nella ricerca di un ideale che non esiste.
L’incontro con Gesù trasforma le nostre preoccupazioni attraverso l’amore. Ci aiuta ad occupare la nostra mente con un realtà che è più ricca e complessa, ci aiuta a fare un passo avanti e, a volte, a fare un passo indietro.
Le tre strade per la trasformazione
Alla durezza del cuore, alla paura e alla preoccupazione si oppongono tre atteggiamenti che favoriscono l’accoglienza dello Spirito del Risorto nel nostro cuore.
Sono la tenerezza, il coraggio e l’attenzione.
Quando il Signore Risorto entra nel nostro cuore facciamo l’esperienza di una tenerezza che è capace di costruire ponti, creare legami, formare comunità.
La parola coraggio, nella sua etimologia latina vuol dire “agire con il cuore”. Lo Spirito ci trasforma in persone coraggiose. Persone capaci di agire nella storia e nel mondo con il cuore e non solo con i nostri pensieri o timori.
Il Risorto è capace di trasformare le nostre preoccupazioni in attenzioni. Chi si lascia soffocare dalle preoccupazioni rimane asfissiato dalle proprie idee o dai propri interessi. L’attenzione è la capacità di restare nella storia portando con sé una tensione, una speranza, un sogno che ci permette di guardare avanti, di non lasciarci dominare dalle nostre stanchezze o affanni.
Carissimi fratelli e sorelle,
accogliamo l’invito a lasciarci trasformare da Cristo. Sentiamo l’appello del Risorto come un invito per noi: “Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20).
Basta solo aprire un po’ la porta del cuore. Lì egli entra, ci incontra, parla, si intrattiene con noi e lentamente ci trasforma preparandoci all’ultimo incontro in cui saremo una sola cosa con Lui.
Lasciamo, perciò, che sin da ora sia il Signore a trasformare le nostre durezze, paure o preoccupazioni per sentire in noi la pienezza della vita che viene dal Vangelo.
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