All’inizio di un nuovo anno sentiamo il
bisogno di chiedere al Signore una parola buona, consapevoli di aver ricevuto
la buona Parola, Gesù, la benedizione di Dio sull’umanità.
Ancora una volta ci mettiamo dinanzi al
Signore con la consapevolezza di aver bisogno di una parola per ricominciare,
per riprendere il cammino di un nuovo anno.
L’appiattimento sul presente e la frenesia delle
società occidentali ci hanno reso analfabeti nella speranza. Attraverso i
social media riusciamo, a malapena, a farci un augurio, ad inviare parole di auspici
o presagi.
La parola
ha una grande forza. L’apostolo Giacomo usa una immagine: “Ecco,
anche le navi, benché siano così grandi e spinte da venti gagliardi, con un
piccolissimo timone vengono guidate là dove vuole il pilota. Così anche la
lingua: è un membro piccolo ma può vantarsi di grandi cose. Ecco: un piccolo
fuoco può incendiare una grande foresta!” (Gc 3,4-5).
Il vocabolario della speranza è affidato alla nostra
parola: con essa possiamo dirigere la grande nave della vita e della storia. Un
piccolo fuoco può incendiare la foresta della fiducia, della operosità e
dell’entusiasmo.
Questa sera vogliamo arricchire il nostro alfabeto
attraverso alcune parole di speranza:
1.
La
benedizione: essa porta con sé un augurio che diventa
per noi motivo di speranza. Perciò, mi piace pensare alla benedizione come una
delle parole del vocabolario della speranza. Il benedire si contrappone alla maldicenza, al pettegolezzo e alla mormorazione.
Nel passato il padre dava la sua benedizione al
figlio: era un linguaggio di speranza. La parola buona sul figlio recava
prosperità, gioia, fecondità. Purtroppo, a volte, ascoltiamo parola negative
tra le generazioni, parole di scoraggiamento o delusione. Il figlio attende dal padre sempre una benedizione. La maldicenza
sulla bocca degli adulti spegne il fuoco della speranza nelle nuove
generazioni. Se penso agli inizi del mio ministero non posso che ringraziare chi,
più grande di me, mi ha incoraggiato, stimato, benedetto. Con le loro parole mi
hanno aiutato a crescere e, senza nascondermi gli errori, mi hanno indicato una
strada da percorrere. Non nego che, altre volte, ho sentito, come un freno
e un motivo di scoraggiamento, parole di maldicenza anche nelle nostre
Comunità.
É proprio vero ciò che dice Giacomo: “Dalla
stessa bocca escono benedizione e maledizione” (Gc 3,10). Questa
tentazione subdola può trovare spazio anche tra noi che siamo abituati a
benedire, lodare, pregare. Dalla stessa bocca: è ciò che capita quando, uscendo
o restando in chiesa, si fanno commenti inopportuni; è ciò che succede quando,
dopo aver taciuto nelle riunioni, al termine ci soffermiamo a commentare su chi
ha dato il proprio contributo; è ciò che avviene quando facciamo un complimento
a qualcuno, a volte anche col sorriso, (benediciamo) ma, di fatto, lo stiamo
sferzando con le nostre parole (malediciamo). Sarà questo il motivo per cui la
parola “bigotto” o “bizzoca”, nel linguaggio comune, sono sinonimi di pettegolo
o maldicente. Proprio il contrario di quanto scriveva Tertulliano a proposito
dei cristiani del II secolo. “La gente”,
egli scrive, diceva dei cristiani “'Vedi
come si amano tra loro, e come sono pronti a morire l'uno per l'altro” (cf.
Apologia 39).
La benedizione è la parola che lo stesso Paolo
consegna alla comunità di Roma invitando ognuno a vivere l’amore vicendevole (“amatevi gli uni gli altri con affetto
fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda” (Rm 12,10) ed estendendo
questo amore con la benedizione fino a coloro che ci perseguitano: “Benedite coloro che vi perseguitano,
benedite e non maledite. Rallegratevi con quelli che sono nella gioia; piangete
con quelli che sono nel pianto” (Rm 12,14-15). E così alla Chiesa di Efeso:
“Nessuna parola cattiva esca dalla vostra
bocca, ma piuttosto parole buone che possano servire per un'opportuna
edificazione, giovando a quelli che ascoltano” (Ef 4,29).
2.
La pazienza. La
speranza cristiana non è frettolosa, non risponde alle logiche del “fast food”.
Ancora una volta, la lettera di Giacomo ci viene incontro con l’invito: “ognuno
sia pronto ad ascoltare, lento a parlare e lento all'ira” (Gc 1,19). Ad
essa fa eco un’immagine: “Guardate l'agricoltore: egli aspetta con costanza
il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime
piogge. Siate costanti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta
del Signore è vicina. Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non
essere giudicati” (Gc 5,7-9). La speranza cristiana è paziente perché è
mossa dall’operosità della carità. In questo tempo veloce non possiamo
riconoscere forme di analfabetismo nella pazienza: desideriamo subito i frutti,
ci spazientiamo se non arrivano, ci lamentiamo se sono ancora acerbi… come se
la storia dipendesse unicamente da noi.
La
pazienza senza la speranza è rassegnazione, è tristezza, è delusione.
Dalla nostra pazienza riusciamo a misurare la nostra speranza. Quanto più è
vasto e lontano l’orizzonte della speranza, tanto più è grande la nostra
pazienza; quanto più è tenace la nostra speranza, tanto più è concreta la
nostra pazienza; quanto più è piena di amore la nostra speranza, tanto più è
ricca di tenerezza la nostra pazienza.
3.
Il desiderio.
La parola desiderio indica una mancanza. Il senso etimologico ci richiama la
mancanza delle stelle. È difficile parlare di desideri in un tempo in cui
facciamo fatica a fare un regalo a chi ha tutto. “La speranza non è virtù per gente con lo stomaco pieno” - scrive Papa Francesco - “Nella notte del primo
Natale c’era un mondo che dormiva, adagiato in tante certezze acquisite. Ma gli
umili preparavano nel nascondimento la rivoluzione della bontà. Erano poveri di
tutto, qualcuno galleggiava poco sopra la soglia della sopravvivenza, ma erano
ricchi del bene più prezioso che esiste al mondo, cioè la voglia di
cambiamento. A volte, aver avuto tutto dalla vita è una sfortuna. Pensate a un
giovane a cui non è stata insegnata la virtù dell’attesa e della pazienza, che
non ha dovuto sudare per nulla, che ha bruciato le tappe e a vent’anni “sa già
come va il mondo”; è stato destinato alla peggior condanna: quella di non
desiderare più nulla. E’ questa, la peggiore condanna. Chiudere la porta ai
desideri, ai sogni. Sembra un giovane, invece è già calato l’autunno sul suo
cuore. Sono i giovani d’autunno”.
In questo tempo, in cui siamo stati privati di alcune
cose, la speranza dovrebbe risvegliare il desiderio di cercarle, viverle e
costruirle. Chi non possiede l’alfabeto della
speranza, dinanzi alla privazione, si lamenta, si arrabbia, non resiste.
Il desiderio risveglia la certezza che la felicità è
fuori di noi, nasce da una mancanza, perciò, ci sprona a camminare, a lavorare,
ad impegnarci. La speranza cristiana nasce dal desiderio, perciò è
operosa.
S. Agostino immagina che Dio dia all’uomo la possibilità
di chiedere qualsiasi cosa e domanda: “cosa
chiederai?”. Poi aggiunge: “Rifletti
bene, dilata la tua avarizia, estendi il tuo desiderio, allarga la tua
bramosia; non è uno qualunque, ma è Dio onnipotente che ti ha detto: Chiedi ciò
che vuoi”. Perciò, continua a domandare: chiederesti la terra? E poi il
mare? e poi il cielo? E dopo aver analizzato tutti i benefici che ricaverebbe
l’uomo nel possedere tutto ciò che Dio ha creato, aggiunge: “Chiedi Colui
che tutto ha fatto, ed in Lui e da Lui avrai tutto ciò che ha creato. Tutte le
cose hanno gran valore, perché tutte sono belle; ma che cosa è più bello di
Lui? Tutte le cose sono forti: ma che cosa è più forte di Lui? E niente vuole
tanto donare quanto se stesso. Se troverai qualcosa di meglio, chiedila. Se
chiederai qualcosa d'altro farai offesa a Lui e danno a te, anteponendo la sua
opera a Chi l'ha fatta, mentre vuol darsi a te Egli stesso che l'ha creata”
(Esposizioni sui Salmi, 34).
Nel tempo di Natale ci è dato di accogliere, nella
carne, il Creatore. Il nostro desiderio di Dio ha un volto: “Gesù Cristo, nostra speranza” (cf 1 Tm
1,1; Col 1,27).
Carissimi fratelli e sorelle,
All’inizio di questo nuovo anno, ancora una volta, ci
poniamo, come i pastori, dinanzi al mistero dell’incarnazione di Gesù. In
Lui poniamo la nostra speranza perché tutta la nostra vita sia una benedizione.
Con Cristo attendiamo pazientemente la venuta del Regno. Per mezzo di Gesù ogni
nostri desiderio sia rivolto al Padre.
Lasciamoci accompagnare, in questo anno, dal Te Deum
in cui preghiemo: Ogni giorno ti
benediciamo, lodiamo il tuo nome per sempre. […] Tu sei la nostra speranza, non
saremo confusi in eterno.
31 dicembre 2020 - 1 gennaio 2021
d. Domenico
Giannuzzi
Preghiera fine anno sociale 2020
Gesù questa sera vogliamo esprimere la preghiera per la nostra vita
attraverso le nostre mani.
Ti
presentiamo le nostre mani vuote
consapevoli della pochezza della nostra vita,
della
fragilità della nostra esistenza, del limite del nostro tempo.
Le
mani vuote non nascondono le rughe dei nostri vizi,
i
calli dei nostri peccati, le ferite delle nostre mancanze.
Siamo
consapevoli del nostro peccato
per
questo ti chiediamo di riempire le nostre vite del balsamo della tua
misericordia.
Perdonaci,
Signore, se abbiamo chiuso le porte del cuore a Te che sei la nostra speranza.
Ti
offriamo le nostre mani giunte.
Come
quelle del servo tra le mani del suo padrone in segno di obbedienza,
anche
noi vogliamo, questa sera, mettere la nostra vita nella tua.
Aiutaci
ad essere donne e uomini obbedienti alla tua volontà,
disposti
ad annunciare il vangelo,
a
vivere la storia e la vita consapevoli che non siamo mai soli.
Ti
offriamo le nostre mani aperte in
memoria di tutti coloro che
hanno
fatto di questo tempo un dono per Te e per gli altri.
In
questo anno la solidarietà e la carità sono state
la
nostra lode, la nostra invocazione, la nostra preghiera
per
chi era nel bisogno e nella necessità.
Aiutaci
a tenerle sempre aperte, anche quando abbiamo paura di chi ci è accanto,
anche quando siamo insicuri per il nostro
futuro,
anche
quando ci sentiamo più fragili degli altri.
Attraverso
le nostre mani fa che possiamo accogliere la tua benedizione
mentre
ci segniamo con il segno della croce
e
quando ti accogliamo nella santa comunione.
Con
la nostre mani fa che possiamo portarti nel nostro lavoro,
assaporarti
nelle nostre carezze, donarti nei gesti di carità.
Le
nostre mani siano rivolte a te per benedirti e verso gli altri per amarti. Amen
Condivido ogni parola e sento il mio cuore tremare di commozione nel vedere espressi sentimenti che avevano dentro di me una cittadinanza nebulosa e che ora invece sono binari luminosi sui quali camminare.
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