Dinanzi al mistero di Dio, a volte, ci
sentiamo come i pastori:
completamente analfabeti, assorbiti dalle preoccupazioni quotidiane, occupati dai
nostri affanni. Altre volte come i magi:
percepiamo qualcosa, cerchiamo ma non abbiamo gli strumenti per parlare di Dio.
Abbiamo delle conoscenze culturali, ci siamo fatti delle idee ma ci sentiamo
analfabeti rispetto al linguaggio della fede.
Questa condizione ha richiamato alla mia
mente tre forme di analfabetismo che mi piacerebbe declinare con la fede, la
speranza e la carità. Ho pensato,
perciò, di condividere con voi alcuni pensieri che ci accompagneranno per tutto
il tempo di Natale. Perciò, in questo giorno mi soffermerò principalmente
sul cosiddetto analfabetismo religioso, il primo gennaio su quello della
speranza, l’epifania sull’analfabetismo della carità.
- L’analfabetismo
della fede
In questi
tempi rischiamo di credere in una religione del “fai a da te”, una sorta di Dio
fatto a nostra immagine e somiglianza, un Dio che ci dà sempre ragione, che ci
assomiglia o che ha tratti sbiaditi. Perciò, con il passar del tempo, finisce
per non interessare più, non dire nulla di nuovo, non ci interpellare.
L’analfabetismo religioso coinvolge tutti:
i genitori che non sentono più il bisogno di insegnare ai propri
figli le preghiere quotidiane o gli atteggiamenti elementari della fede (il
segno di croce, la genuflessione, il rispetto per i luoghi sacri); i giovani,
certamente più informati che nel passato su discipline scientifiche o tecniche,
alle cui competenze non corrisponde, purtroppo, il bisogno di cercare nella
fede una risposta alle domande fondamentali della vita; gli adulti che
frullano il discorso su Dio con opinioni e frasi fatte senza preoccuparsi di
cercare ciò che pensano di aver trovato.
- La dotta ignoranza
C’è una non-conoscenza di Dio che ci
accompagnerà sempre nella vita, una “dotta ignoranza” per dirla con N. Cusano,
che trova eco nelle Scritture: “Dio nessuno l'ha mai visto” (Gv 1,18) –
“Nessuno mai ha visto Dio” (1Gv 4,12).
A questa consapevolezza è legato
l’annuncio degli angeli: Non temere, non rattristarti, Dio si è fatto
conoscere. Gesù, immagine del Dio invisibile (Col 1,15), ci ha rivelato il
volto del Padre (Gv 1,18. 6.46). Dio non ci ha lasciati nell’ignoranza, nella
tristezza come coloro che non hanno speranza (cf. 1 Ts 4,13). Gesù è per noi il
pedagogo. Apriamo la porta del cuore perché Lui possa amarci ed educarci (Ap
3,19). Se siamo qui è perché sappiamo che possiamo trovare una risposta alle
domande della nostra vita.
- La sapienza del vangelo
Dai vangeli dell’infanzia di Gesù
comprendiamo che la conoscenza delle Scritture e, quindi, di Cristo non è
semplicemente un fatto culturale. Anche i sacerdoti di Erode conoscevano le
Scritture ma sono rimasti nel palazzo e non si sono preoccupati di cercare il
Maestro.
La conoscenza del Vangelo è diversa dalla
sapienza dell’uomo, a volte, vanitosa, orgogliosa, presuntuosa. La sapienza di
Dio “anzitutto è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di
misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera” (Gc 3,17). Gesù ci
rivela un Dio diverso da come potremmo immaginarlo con la nostra fantasia, un
Dio che interroga ogni volta, che ci interpella.
Il Natale di Gesù ci presenta l’immagine
di un Dio semplice, fragile, misericordioso. Ci racconta di un amore
straripante che apre i cieli fino ad incontrare l’uomo.
Il contenuto dell’annuncio è Cristo
Signore. Il
messaggio del Vangelo è chiaro. A chi cammina nelle tenebre è rivolto è un
messaggio: c’è una via di salvezza, una luce nel buio. Gesù è luce. Non abbiamo
altri contenuti se non questo: noi annunciamo Gesù, il Salvatore. Nei momenti
bui della nostra vita, nelle situazioni complesse, nelle difficoltà questa luce
diventa ancora più chiara. In questo periodo così complicato siamo chiamati a
riascoltare questo messaggio: Gesù è la nostra salvezza.
Ho letto da qualche parte l’espressione
“Gesù è il vaccino per questo tempo”. Non vi nascondo che questa espressione mi
ha lasciato un po’ perplesso. Il vaccino è qualcosa che entra nel nostro corpo
e ci guarisce senza nessuno impegno da parte nostra, senza coinvolgimento. Ci
rende immuni rafforzando in noi l’idea che siamo chiamati ad essere superuomini
forti e invulnerabili.
Mi piace, invece, pensare a Gesù come il
medico della nostra vita, così come ci viene presentato dal Vangelo. Lui è
venuto per guarire l’umanità non con un effetto magico ma con la sua
compassione. Come il buon samaritano si è caricato la nostra infermità. Lui è
nostro salvatore perché è venuto a salvare “il suo popolo dai suoi
peccati" (Mt 1,21). Non vergogniamoci di accostarci a Lui con i nostri
peccati anche attraverso la confessione. “Se infatti l’ammalato si
vergognasse di mostrare al medico la ferita” – scrive il Concilio di Trento
- “il medico non potrebbe curare quello che non conosce”.
Il medico non guarisce senza di noi, così
come Cristo non ci salva senza di noi: Dio, che ti ha creato senza di te,
non può salvarti senza di te (S. Agostino). Per questo la conoscenza di
Gesù cresce nell’amicizia con lui. Come Pietro, Lazzaro, Marta e Maria, Maria
di Magdala, Matteo, Paolo impariamo a conoscere il Maestro solo amandolo e,
diventando suo amico, impariamo a conoscerlo.
La preghiera quotidiana, la lettura del
vangelo, l’esame di coscienza ogni sera, la preparazione alla Messa e il
ringraziamento personale dopo aver ricevuto l’Eucaristia sono piccoli passi
attraverso i quali cresce l’amicizia con Gesù.
- Analfabetismo
religioso nella comunità cristiana
L’analfabetismo religioso caratterizza
anche i nostri percorsi parrocchiali quando pensiamo che sia sufficiente avere
per ogni gruppo di bambini un numero sufficiente di educatori, catechisti o
responsabili senza preoccuparci di accompagnare ognuno nel cammino di fede.
Senza una conoscenza del mistero di Cristo rischiamo di legare i i ragazzi a
noi stessi, alle nostre opinioni o a cose imparate nel passato, di ridurre la
trasmissione della fede ad una serie di tappe sacramentali senza annuncio del
Vangelo.
Coinvolge i giovani delle nostre
parrocchie che rischiano di anestetizzare la loro ricerca di Dio
mettendolo in secondo piano rispetto al bisogno di amicizia e coinvolgimento.
Ci sono tanti adolescenti che hanno come unico catechista internet o che hanno
smesso di cercare Dio indossando l’abito di un ateismo cucito solo con filo
dell’indifferenza e del conformismo. Chi si prenderà cura di loro?
Anche la fede degli adulti
rischia di essere assorbita in un pragmatismo o di tipo devozionistico o
ecclesiale dove la pratica religiosa anestetizza le domande di senso o
asseconda uno stile di vita incapace di trasformare il nostro pensiero in
quello di Cristo (cf. 1 cor 2,16).
Questa condizione interpella le nostre
comunità sul primo annuncio della fede.
L’analfabetismo religioso ci chiede un
linguaggio più semplice, essenziale, radicale. Come ai pastori, così sentiamo
per noi questo primo annuncio: “Non temete: ecco, vi annuncio una grande
gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi
un Salvatore, che è Cristo Signore” (Lc 2,10-11).
Il primo annuncio degli angeli ci insegna
uno stile con cui annunciare il vangelo:
1.
Gioioso: vi annuncio una grande gioia. Non dimentichiamo
le parole di Papa Francesco: “più che come esperti in diagnosi apocalittiche
o giudici oscuri che si compiacciono di individuare ogni pericolo o deviazione,
è bene che possano vederci come gioiosi messaggeri di proposte alte, custodi
del bene e della bellezza che risplendono in una vita fedele al Vangelo” (EG
168). L’analfabetismo della fede fa crescere la tristezza, l’apatia, la
pigrizia.
2.
Per tutti: i confini della parrocchia sono quelli
del mondo. Per poter raggiungere tutti dobbiamo allargare il nostro sguardo
fino a chi pensiamo sia più lontano da noi o dal Vangelo. “Per tutti” vuol dire
che non possiamo pensare alla parrocchia come un luogo di élite, riservato ai
soliti, a quelli che pensano che senza di loro tutto si fermerebbe. Non è un
caso, purtroppo, che nel dire comune i termini “parrocchia” o “campanile”
indicano interessi di parte, piccoli confini piuttosto che ponti. I nostri
atteggiamenti dovrebbero avere la forza di scardinare questo luogo
comune.
3.
Oggi: l’annuncio della nascita di Gesù non è
un evento del passato. È attuale, interroga il presente, l’uomo contemporaneo.
Se siamo analfabeti nella fede come possiamo tradurre il messaggio del vangelo
all’uomo di oggi? Cosa possiamo annunciare, cosa abbiamo da dirgli? Il vangelo
è sempre attuale perciò non possiamo accontentarci di annunciarlo come abbiamo
sempre fatto abbiamo bisogno di metterci in ascolto dello Spirito perché ci dia
un nuovo entusiasmo della fede.
Carissimi fratelli e sorelle
Questo Natale ci trovi così come abbiamo
chiesto nella benedizione di Avvento: saldi nella fede. In questo tempo abbiamo
sperimentato situazioni e avvenimenti in cui ci siamo sentiti smarriti,
insicuri, fragili.
Ancora una volta facciamo nostra la
preghiera di papa Francesco proclamata il 27 marzo dinanzi ad una piazza
apparentemente vuota in cui tutti eravamo presenti:
«Perché avete
paura? Non avete ancora fede?». Signore, la tua Parola stasera ci colpisce e ci
riguarda, tutti. In questo nostro mondo, che Tu ami più di noi, siamo andati
avanti a tutta velocità, sentendoci forti e capaci in tutto. Avidi di guadagno,
ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo
fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e
ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro
pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di
rimanere sempre sani in un mondo malato. Ora, mentre stiamo in mare agitato, ti
imploriamo: “Svegliati Signore!”.
«Perché avete
paura? Non avete ancora fede?». Signore, ci rivolgi un appello, un appello alla
fede. Che non è tanto credere che Tu esista, ma venire a Te e fidarsi di Te.
[…]
«Perché avete
paura? Non avete ancora fede?». L’inizio della fede è saperci bisognosi di
salvezza. Non siamo autosufficienti, da soli; da soli affondiamo: abbiamo
bisogno del Signore come gli antichi naviganti delle stelle. Invitiamo Gesù
nelle barche delle nostre vite. Consegniamogli le nostre paure, perché Lui le
vinca. Come i discepoli sperimenteremo che, con Lui a bordo, non si fa
naufragio. Perché questa è la forza di Dio: volgere al bene tutto quello che ci
capita, anche le cose brutte. Egli porta il sereno nelle nostre tempeste,
perché con Dio la vita non muore mai.
d. Domenico Giannuzzi
Natale 2020
Commenti
Posta un commento