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omelia mercoledì delle ceneri 2020


Il contagio della speranza

omelia ceneri 2020



Carissimi, 
ho cambiato l’omelia delle ceneri pensando di offrirvi una riflessione per attualizzare l’annuncio di questo tempo di Quaresima alla luce di quanto sta avvenendo attorno a noi. 
Vorrei con voi invocare lo Spirito santo perché ci aiuti a leggere i segni dei tempi con i quali ancora una volta il Signore ci parla. 
Il Signore mi allontani dalla presunzione di chi sa qualcosa in più di un medico o uno scienziato e dall'arroganza di chi vorrebbe far dire al vangelo cose che non ha mai detto, ma, mi dia l’atteggiamento di chi chiede al Vangelo di illuminare la storia alla luce dell’avvento del regno di Dio. 

Il corona virus

In questo periodo ci stiamo proteggendo da un virus che sembra aver aperto i nostri occhi sulla Cina e su altri Paesi con lo stupore infantile di un bambino che si accorge per la prima volta di avere un giocattolo accanto a sé. 
Eppure la maggior parte dei nostri indumenti, dei nostri elettrodomestici e cellulari portano un marchio indelebile: made in China. Un marchio che, nel tempo, ha sostituito i nostri prodotti locali non tanto per una maggiore qualità ma perché un virus, quello del consumo e della convenienza, ha contagiato lentamente i nostri mercati. 
Così la opportunità del prezzo ha preso il sopravvento sui diritti dei lavoratori, sulla qualità e l’origine delle materie prime, sul rispetto della concorrenza. 
La Cina, come altre nazioni del mondo, hanno invaso i nostri mercati, le nostre scelte economiche, i nostri stili di vita senza che alcuno si preoccupasse di farci vedere mappe o zone di contagio da cui doverci difendere. 
Già, perché c’è una legge che regna nel mondo: un tempo si chiamava ricchezza, oggi si chiama economia, mercato, profitto. Ma le regole sono uguali. 
Questo tempo è un segno per noi: ci dice che la signoria del consumo, della ricchezza per cui siamo disposti a sacrificare tutto, ha delle conseguenze nella nostra vita, conseguenze silenziose, lente che contagiano prima la nostra testa, poi il nostro corpo. 
In nome dell’economia non ci siamo preoccupati delle regole del mercato, della piccola economia, di ribellarci, anche con gesti che vanno controcorrente, ad uno stile che non appartiene alla nostra cultura. 
Abbiano abbandonato i grandi magazzini solo per la paura di infettarci con un virus che avrebbe potuto colpire i nostri corpi e non per ribellarci dinanzi all'invasione di un sistema di consumo che non rispettava i diritti dei lavoratori e dei prodotti locali. 

Il paziente zero

In questi giorni stanno cercando il paziente zero. 
Forse dovremmo riconoscere che il paziente zero era già in mezzo a noi: è nella nostra mente, nei nostri stili di vita, nelle nostre scelte. 
In questo periodo abbiamo fatto a gara per comprare mascherine per proteggerci da una eventuale infezione, mascherine che non abbiamo preteso per le nostre terre pur sapendo che tra i lavoratori impiegati nello stabilimento ex Ilva di Taranto si registra il 500% di casi di cancro in più rispetto alla media della popolazione generale della città, non impiegata nello stabilimento. 
L’Osservatorio nazionale amianto (Ona) stima che in Puglia, in generale, siano circa 5.000 i morti causati o concausati dall'esposizione all'amianto nel periodo 1993/2015. 
Ma, ancora una volta, le leggi del mercato hanno deciso sulla salute e la vita delle persone. 
Il paziente zero era già tra noi. 
Questa epidemia può diventare un segno dei tempi se ci aiuta ad aprire gli occhi sulla creazione, a dare voce al grido inascoltato, anche nella chiesa, di papa Francesco sulle conseguenze del nostro stile di vita sulla creazione e sull’uomo: “Il ritmo di consumo, di spreco e di alterazione dell’ambiente ha superato le possibilità del pianeta, in maniera tale che lo stile di vita attuale, essendo insostenibile, può sfociare solamente in catastrofi, come di fatto sta già avvenendo periodicamente in diverse regioni. L’attenuazione degli effetti dell’attuale squilibrio dipende da ciò che facciamo ora, soprattutto se pensiamo alla responsabilità che ci attribuiranno coloro che dovranno sopportare le peggiori conseguenze” (Laudato sii 161). 
La lettura dei segni dei tempi, però, non ci porta ad accordarci con i profeti di sventura che scelgono una epidemia rispetto alle altre come una condanna di Dio: perché non dovrebbe esserlo la TBC o lo stesso tumore o la fame nel mondo che certamente hanno un tasso di mortalità maggiore sull'umanità? 
Nel mondo ogni giorno muoiono 7000 bambini per malnutrizione, in Italia muoiono ogni anno per tumore più di 178.000 persone, di tubercolosi (una malattia che si può curare) muoiono ogni anno 1,3 milioni di persone. Forse queste malattie avrebbero un curriculum più ricco da presentare per essere riconosciute come un “castigo di Dio”. 
Ciò che accade attorno a noi piuttosto dovrebbe interrogarci per sentire con più intensità l’appello del vangelo che oggi risuona nelle nostre chiese: “convertitevi e credete al vangelo”. 
Il vangelo è l’amuchina che, prima che disinfettare le nostre mani, purifica le nostre menti, il nostro cuore e le nostre parole. 
Il Vangelo è l’antidoto per i mali profondi dell’umanità: è questa la nostra fede, è questa la nostra speranza. 
Un virus ci ha imposto di ricevere la comunione tra le mani ricordandoci che non è peccato ciò che entra ma ciò che esce dal cuore dell’uomo, e che noi crediamo in un Dio che non ha paura di toccare le nostre mani, di contagiarsi con le nostre sporcizie, di entrare nella nostra vita. 

La nostra fede ci permette di entrare nella storia, anche in situazioni di difficoltà o confusione, con la certezza che con noi c’è “Cristo Gesù nostra speranza” (1 Tm1,1). 

Il digiuno 

E questo tempo è per noi cristiani un tempo in cui siamo chiamati ad annunciare il vangelo della speranza con parole che ci permettano di guardare alla vita prendendo con noi ciò che è essenziale per vivere. 
Nel supermercato della vita il cristiano non può non prendere per sé il vangelo, altrimenti la paura, l’amor proprio, la prepotenza diventerebbero i prodotti da accaparrare per sopravvivere nell'umanità. 
In questi giorni il “digiuno” dal segno di pace, spero faccia crescere il noi il desiderio di incontrarci, di salutarci, di aiutarci reciprocamente, nell'attesa dell’abbraccio misericordioso con Dio. 
Il tempo della quaresima è anche tempo di digiuno, cioè tempo in cui ci impegniamo a potare i rami della nostra vita perché possano portare più frutto. Il vangelo ci aiuta a difenderci dal virus di parole che fanno ammalare le nostre relazioni. 
Ci sono parole che non aiutano a rafforzare, costruire e alimentare la bellezza della speranza. In un libretto che ho pensato di scrivere per noi e chi ci accompagnerà in questo tempo troverete alcune brevi riflessioni su alcune parole che mi piacerebbe scomparissero dal nostro vocabolario. Non possiamo essere uomini e donne di speranza se poi i nostri linguaggi tradiscono la bellezza di questa virtù. 

La preghiera 

Il digiuno da parole non costruttive possa far crescere in noi il desiderio di parole di speranze anche nella preghiera. 
In questi quaranta giorni, pregheremo con le lodi divine: sono lodi rivolte a Dio.
Un tempo avevano lo scopo di riparare alle bestemmie contro Dio. Mi piacerebbe riproporle come cura e riparazione alle parole di disperazione che spesso circolano anche tra di noi: ho paura, si sente dire, tocca a lei/lui, non dipende da me, ormai, era meglio prima, tutto e subito. Parole che fanno di noi “profeti di sventura” (S. Giovanni XXIII) piuttosto che profeti del regno di Dio. 
La lode a Dio ci aiuta a essere uomini di speranza perché ci mette in sintonia con Colui che ha visto il mondo come cosa buona e l’uomo come “cosa molto buona” (Gen 1,31). 
Gesù stesso spesso ha lodato il Padre perché ha rivelato le bellezze della fede ai piccoli (cf. Mt 11,25), apprezza la fede del lebbroso straniero che ritorna da lui lodando Dio per essere stato guarito (cf. Lc 17,11-19). 
Chi è capace di lodare Dio al mattino per il dono della vita, a lodarlo per il cibo, frutto del lavoro, a lodarlo per la forza o la stanchezza, nella salute e nella malattia alimenta in sé la virtù della speranza. 

L’elemosina 

Chi spera ama. È l’amore che ci fa vedere oltre, infonde in noi la forza del cambiamento. Scriveva don Primo Mazzolari: “La speranza vede la spiga quando i miei occhi di carne non vedono che il seme che marcisce”. Con questo sguardo ci piace vedere le nostre opere di carità: il Centro “Granelli di senape”, l’emporio, il Centro di accoglienza “La porta di S. Pietro”, la mensa “il pane quotidiano”, il nostro impegno nella carità educativa dei nostri gruppi. Questo sguardo fa delle nostre opere non solo segni di carità ma anche segni di speranza. 
I nostri occhi di carne vedono ragazzi che non hanno molte possibilità, famiglie disgregate, immigrati abbandonati a se stessi, uomini schiavi dell’alcool o del gioco; i nostri occhi di carne vedono le fragilità dell’uomo, il seme che marcisce mentre l’amore e la speranza ci fanno vedere la spiga. 
Con questo desiderio, in questa Quaresima avvieremo un raccolta speciale per sostenere la nuova mensa e un centro per i giovani che chiameremo “la casa dei talenti”: uno spazio di carità e speranza! Rinunceremo ad un pasto per costruire insieme un nuovo luogo e una nuova proposta con i giovani che possa essere per noi un richiamo alla carità operosa e alla speranza lieta. 
La speranza ci aiuta a non trovare la soddisfazione in una iniziativa, in un’attività, in un singolo impegno. Essa ci permette di vedere oltre il timore di contagiarci, di toccare con mano, di sporcarci le mani con la vita e la storia di chi è più debole. 
Solo la speranza è capace di guarire il cuore dell’uomo dalla tentazione di accontentarsi delle proprie comodità e sicurezze. 
La speranza è la virtù che ci accompagna fino alle porte del paradiso, per questo è intimamente legata alla carità. 
Mi è particolare cara l’immagine che utilizza S. Giovanni Crisostomo: “Come nei teatri, quando tutto finisce e gli attori si ritirano si tolgono il costume di scena, coloro che prima sembravano re o principi ora appaiono tali quali in realtà sono con tutte le loro miserie, così quando verrà la morte e concluderà lo spettacolo della vita, deposte le caratteristiche della ricchezza o della povertà solo dalle proprie opere sarà giudicato chi è veramente ricco e chi davvero povero; chi sarà davvero degno e chi indegno della gloria”
La speranza ci fa sentire il profumo dell’eternità che riempie ogni opera di carità, altrimenti – come scrive S. Paolo – “se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini” (1 cor 15,19). 
Nella opere di carità noi facciamo l’esperienza del “già” della vita eterna che “non si è ancora” realizzata pienamente. 
Nel tempo di Avvento viene proposta una benedizione che chiedo con voi al Signore, in questo tempo: Nel cammino di questa vita, Dio vi renda saldi della fede, gioiosi nella speranza, operosi nella carità. Sia la quaresima un tempo in cui la nostra fede in Dio sia ben radicata come la casa sulla roccia, la nostra carità sia operosa, fatta di gesti concreti e quotidiani e, soprattutto, la nostra speranza sia gioiosa! 
Così come ci ricorda l’apostolo Paolo: “Siate lieti nella speranza” (Rm 12,12), “Il Dio della speranza vi riempia, nel credere, di ogni gioia e pace” (Rm 15,13). 
La speranza gioiosa è contagiosa! 
È l’unico contagio che non dovremmo temere! Chi ha la speranza non può essere triste, anche se vive nella quaresima. Ricordiamo le parole di Gesù: “E quando digiunate, non diventate malinconici” (Mt 6,16).

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