Omelia di Pasqua
Cari fratelli e sorelle,
abbiamo iniziato il cammino quaresimale con un invito: non sprecate parole!
Ci siamo allenati nel mettere da parte parole di menzogna,
di giudizio, di mormorazione.
All’inizio della quaresima ci dicevamo che “la verifica dei nostri linguaggi, è una
verifica del cuore. Una parola cattiva, invidiosa, bugiarda, sospettosa ci
interroga sui sentimenti che portiamo nel cuore; una parola buona, misericordiosa,
affettuosa, premurosa riempie di pace il nostro cuore”.
In questi giorni ci siamo accorti che è difficile tacere
quando si è insultati, non parlare quando si è tentati nel giudizio, rispondere
con il perdono quando siamo colpiti.
·
Come possono
cambiare le nostre parole?
Abbiamo ascoltato il profeta Ezechiele: “vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di
voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di
carne” (Ez 36,26).
Al tempo di Ezechiele il popolo era in esilio, lontano
dalla terra promessa, schiavo di altre culture e società. La tentazione di
uniformarsi ad altri popoli era forte. Il cuore del popolo si era indurito,
stavano scegliendo altri dei, erano sconsolati e senza speranza.
La condizione di Israele assomiglia alla nostra: non è
difficile sentirsi una minoranza nella nostra società, specialmente quando
emergono i temi della vita, della famiglia, della sessualità. A volte potremmo
sentirci “fuori luogo” quando le regole del gioco, negli ambienti di lavoro o
nelle nostre famiglie, sono solo quelle del successo a tutti i costi,
dell’arrivismo o degli interessi privati.
E così mentre gli ideali si frantumano e i valori si
spengono, l’entusiasmo cede il passo al compromesso, e, vivendo alla giornata, entriamo
nel coro di chi si lamenta continuamente, mormora o giudica rendendo il cuore sempre
più duro come la pietra.
·
Il cuore duro
Il cuore duro è il cuore che non lascia trapelare nulla,
che resiste a tutto e a tutti. Il cuore duro è il cuore introverso (verso se
stesso), corazzato dagli altri, preoccupato solo di sé.
Il cuore duro è anche il cuore sterile. Cosa può nascere da
una pietra? Nulla! Essa è compatta, in lei non entra nulla e non esce nulla, essa
non genera e non produce.
Il cuore diventa duro per tanti motivi: a volte per una
ferita o una delusione ricevuta, altre volte per l’abitudine e la routine
giornaliera, o per l’orgoglio e la presunzione.
Come sulla superficie terrestre, anche sul nostro cuore –
col tempo – si generano strati di terra che lo rendono sempre più spesso.
È ciò che avviene tra amici o amiche: prima una
incomprensione, una piccola gelosia, un sospetto, poi una parola fuori posto,
un pettegolezzo e, infine, la delusione.
Può avvenire tra gli sposi: una ferita tenuta per noi, per
la paura di sentirci dire che abbiamo torto o per il timore di dover
ricominciare a litigare. Poi, una discussione, una lite, il rancore e la
rabbia: parole dette senza pensarci molto, silenzio o desiderio di fuggire in
un mondo che non c’è… e tanti strati iniziano a inspessire il nostro cuore.
Può succedere tra fratelli o parenti: una incomprensione
del passato, un saluto negato, uno sguardo sospettoso lasciano in noi un
dubbio, un torto subito dieci, venti, trenta anni fa; poi, una eredità da
dividere, un dovere da compiere, una ingiustizia subita o una vendetta
finalmente ripagata. E così il nostro cuore diventa sempre più duro.
Può succedere nelle nostre parrocchie: l’entusiasmo iniziale
cede il passo alle logiche della simpatia o antipatia, il servizio al potere, l’abitudine
alla prepotenza.
E un po’ alla volta, il cuore diventa rigido: i suoni della
liturgia trovano corazze indelebili, gli inviti al perdono giustificazioni da
azzeccagarbugli, l’Eucaristia non più vincolo di carità ma vuota abitudine
settimanale o – peggio – quotidiana.
Il cuore diventa duro quando cediamo il passo all’idolatria
che è il male di ogni tempo, la tentazione di ogni credente. Un po’ alla volta,
ci facciamo un nostro dio (l’orgoglio, l’egoismo, il denaro, il potere) offrendogli
uno spazio per il culto: il nostro cuore.
·
L’annuncio
pasquale: la tenerezza
La pasqua, però, ci annuncia una novità: è possibile
rialzarci, ricominciare, riprendere in mano la nostra vita, trovare un nuovo
entusiasmo e, in noi, parole nuove per ripartire.
Nella Pasqua, Cristo opera un espianto d’organi, una nuova
creazione, come quella di Eva: Dio ci toglie il cuore di pietra per darci un
cuore “tenero”, un cuore pieno di tenerezza!
La tenerezza è la novità della pasqua.
Di tenerezza ci parla il cero che si lascia consumare dal
fuoco nuovo, con tenerezza ci unge l’olio del crisma e ci feconda l’acqua del
battesimo, di tenerezza e dolcezza di riempiono le Scritture, il pane e il vino
nuovo dell’Eucaristia.
L’incontro con il Risorto rende il nostro cuore capace di
tenerezza.
Nella lingua latina “capax” (capace) deriva dal verbo càpere (contenere). È capace,
perciò, chi sa contenere, tenere dentro di sé.
È capace di tenerezza, perciò, chi sa tenere dentro di sé
la tenerezza, chi ne è pieno, chi ne è abitato. La tenerezza è, quindi, la
disponibilità ad essere plasmato, costruito, fatto: è l’atteggiamento della
creta nelle mani del vasaio.
·
Dio è
tenerezza.
La Pasqua ci annuncia che Dio è tenerezza. Quando Dio entra
nel nostro cuore, prende la forma della nostra vita, non distrugge, non aggredisce,
non ci piega – con violenza – alla sua volontà.
Dio
è tenero come una madre che fa spazio nel suo grembo perché il figlio possa
venire alla luce.
Dio
è tenero come un padre che vigila, accompagna, attende il ritorno del figlio.
La tenerezza di Dio si esprime nel dono di se stesso, nel
dono dello Spirito. A Lui in un’antica preghiera ci rivolgiamo, chiedendo:
“lava ciò che è sordido, bagna ciò che è arido, sana ciò che sanguina. Piega
ciò che è rigido, scalda ciò che è gelido, drizza ciò ch'è sviato”. In queste
sei invocazioni ritroviamo la declinazione della tenerezza di Dio.
Dio è tenerezza perché lava, bagna, sana, piega, scalda,
drizza.
La sua tenerezza è interiore, è una azione nel cuore, prima
che essere un azione del cuore, essa non è, perciò, da confondersi con la
mielosità, la dolcezza superficiale o stucchevole.
Il dono della Pasqua è il dono dello Spirito santo,
dell’amore tenero tra il Padre e il Figlio. Lo Spirito che Gesù emise sulla
croce, viene donato in abbondanza a tutta la Chiesa, come agli apostoli nel
cenacolo.
·
La tenerezza:
il nuovo linguaggio dei credenti
Se lo Spirito è in noi, allora, la tenerezza diventa il
linguaggio pasquale, il nuovo linguaggio dei credenti. La tenerezza è la parola che può sostituire le nostre
parole sprecate. La tenerezza è il nuovo linguaggio del cuore.
Non c’è posto nel cuore dei credenti per parole che siano
sporche, aride, sanguinose, rigide, gelide, sviate.
Il linguaggio della Pasqua è lo stesso dello Spirito. Le
nostre parole sono da Lui purificate, rinfrescate, risanate, intenerite,
scaldate e raddrizzate.
La
tenerezza è il nuovo linguaggio delle coppie cristiane, che cercano
nel sacramento del matrimonio il luogo in cui scambiarsi parole d’amore.
Care coppie cristiane, voi sapete cosa vuol dire plasmare
il proprio cuore sul cuore dell’altro, cosa significa avere un cuore tenero,
capace di far spazio alla vita di un altro: non cedete alla tentazione
dell’egoismo, della fuga, dell’abbandono. Dio rende nuovi i nostri cuori e ci
insegna come ricominciare.
La
tenerezza è il linguaggio delle nostre famiglie.
Care famiglie, non cedete alla tentazione di irrigidirvi su
opinioni del passato, su torti subiti, su conti fatti male. A quante occasioni
di tenerezza e affetto abbiamo rinunciato per un pezzo di terra, per un saluto
negato, per un piccolo torto subito. Un cuore tenero è un cuore che sa
perdonare: non rinunciate a perdonare! Il male porta sempre male e quello tra
le famiglie è un male che si diffonde da generazione in generazione.
La
tenerezza è il linguaggio dei giovani.
I giovani sanno cos’è la tenerezza perché vivono le
stagioni più belle dell’amore. Sono pronti a fare qualsiasi cosa quando si
innamorano, il loro cuore è capace di pazzie, di voli pindarici, di sogni
lontani.
Cari giovani, non rinunciate ai linguaggi della tenerezza,
bruciando le tappe della vita. Non rinunciate a lasciarvi plasmare, educare,
consigliare irrigidendovi nella presunzione di fare tutto da soli. Non
rinunciate alla tenerezza dei sogni, né all’amore di Dio che, dei sogni è
quello più bello.
La
tenerezza è il linguaggio dei nonni quando
scelgono di spogliarsi della corazza del tempo per far posto alla fragilità del
cuore.
Abbiamo bisogno dei nonni e degli anziani, anche quando
sono fragili, perché ci ricordano che la tenerezza è un segno di maturità e
saggezza, non di debolezza.
·
La tenerezza è
il linguaggio della Chiesa.
Miei cari fratelli e sorelle, cari amici,
ogniqualvolta celebro il triduo pasquale mi chiedo perché
proprio io, perché il Signore ha chiamato proprio me a questo ministero della
cui indegnità sono sempre più consapevole.
In questa pasqua forse ho capito qualcosa, forse non c’era
un altro modo per rendere il mio cuore più tenero. Da voi – in questi anni - sto
imparando il linguaggio della tenerezza: dai sorrisi dei bambini, quelli più
semplici e più deboli, dai messaggi dei più giovani, dall’impegno di chi inizia
una vita matrimoniale o un lavoro nuovo, dai genitori, miei coetanei, dalle
donne che si mettono a servizio della chiesa con costanza e gratuità, dalla
generosità di tanti uomini, dalle confidenze e dalla misericordia di malati e
anziani.
Miei cari, non stanchiamoci di declinare i linguaggi della
tenerezza: questa è la musica dei nostri cori, il canto delle nostre liturgie,
la parola che accompagna ogni gesto di carità, è la catechesi più bella che
possiamo raccontare ai nostri bambini e giovani.
Ancora una volta, il Risorto dice alla sua Chiesa “non
abbiate paura”, non temete la tenerezza anche se vi fa sembrare più deboli, non
fuggite dalla tenerezza anche se vi fa sentire nudi, non nascondetevi alla
tenerezza anche se vi rende più fragili.
A volte mi chiedono “cosa fate in parrocchia?” mi
piacerebbe rispondere “non rinunciamo ad amarci per nessun motivo”.
La tenerezza è il linguaggio della preghiera. Senza la
preghiera il nostro cuore resta di pietra, le nostre relazioni si consumano
nell’abitudine, la nostra mente si congela nel ricordo del male subito.
Ora chiederemo il dono dello Spirito con una invocazione che
mi piacerebbe pregare ogni giorno in questi cinquanta giorni di pasqua, sapendo
che lo faremo insieme gli uni per gli altri, perché il Signore ci doni un cuore
nuovo.
Vieni,
Santo Spirito, manda a noi dal cielo un raggio della tua luce.
Vieni,
padre dei poveri, vieni, datore dei doni, vieni, luce dei cuori.
Consolatore
perfetto, ospite dolce dell'anima, dolcissimo sollievo.
Nella
fatica, riposo; nella calura, riparo; nel pianto, conforto.
O
luce beatissima, invadi nell'intimo il cuore dei tuoi fedeli.
Senza
la tua forza, nulla è nell'uomo, nulla senza colpa.
Lava
ciò che è sordido, bagna ciò che è arido, sana ciò che sanguina.
Piega
ciò che è rigido, scalda ciò che è gelido, drizza ciò ch'è sviato.
Dona
ai tuoi fedeli che solo in te confidano i tuoi santi doni.
Dona
virtù e premio, dona morte santa, dona gioia eterna. Amen.
Commenti
Posta un commento