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Non sprecate parole!

 

Quaresima 2014

Non sprecate parole!


Come il popolo di Israele nel deserto anche noi, in questi quaranta giorni, percorreremo il cammino verso la Pasqua.
Iniziando questo percorso, la Parola di Dio ci esorta: pentiti, convertirti!

Prima di cominciare, fermiamoci
Non lasciamo cadere nel vuoto questo invito, perciò, prima di muovere i nostri passi verso la quaresima ci chiediamo: sono disposto a convertirmi? A prendere sul serio questo invito del Signore?
Non diciamo subito “si”: mettiamoci nel silenzio, entriamo nel “segreto del cuore”, dove il Signore ci parla, e chiediamoci se davvero siamo disposti a mettere in discussione, a modificare, a verificare alcuni nostri atteggiamenti.
Se abbiamo pronunciato il nostro “si”, alziamoci e il Signore, che è la nostra forza, “renderà i nostri piedi agili come quelli delle cerve, facendoci camminare sulle vette dei monti” (Ab 3,11).
Ci attende un cammino di quaranta giorni, un percorso nel deserto dove sentiamo il fascino del silenzio, ma anche il peso dell’arsura e la fatica del camminare.

Non siamo soliIn questo cammino, non siamo soli! Non dimentichiamolo nel momento della prova e della tentazione.
In questo cammino, Gesù, con la sua Parola, è accanto e dentro di noi. Dio parla nel silenzio del cuore, e lì agisce, incoraggia, perdona, consola. S. Agostino ci introduce in questo mistero con una immagine: “Le parole che noi facciamo risuonare di fuori, o fratelli, sono come un agricoltore rispetto ad un albero. L'agricoltore lavora l'albero dall'esterno: vi porta l'acqua, lo cura con attenzione; ma qualunque sia lo strumento esterno che egli usa, potrà mai dare forma ai frutti dell'albero? È lui che riveste i rami nudi dell'ombra delle foglie? […] Chi invece agisce nell'interno? […]  Né colui che pianta né colui che irriga conta qualcosa, ma colui che procura la crescita, Dio (1 Cor 3, 6-7)” (S. Agostino, commento alla 1 Gv 3,13).
In questo tempo di quaresima risuona nel cuore un invito della Parola: “convertiti”. 
È la parola che troviamo alle origini della nostra fede, il primo suono che ci ha svegliati dal torpore dell’incredulità, il primo richiamo che ridestato in noi il desiderio di cercare e seguire il Maestro: “convertiti”.

Il cammino quaresimale comunitario
Come ogni anno, all’inizio del cammino quaresimale, mi sono chiesto quale poteva essere l’esercizio penitenziale che il Signore chiede alla nostra comunità.
Vi propongo, perciò, una breve traccia per il nostro cammino.
Il vangelo di Matteo ci ha invitati a non separare la vita interiore dalle scelte esteriori: “non praticate la vostra giustizia davanti agli uomini” (Cf. Mt 6,1).
C’è una dimensione della nostro essere che unisce la vita interiore con quella esteriore: il linguaggio.
  • Con le nostre parole, noi mettiamo fuori di noi ciò che abbiamo di più intimo: i nostri pensieri, i nostri sentimenti, i nostri giudizi.
  • Con le parole noi ci incontriamo, ci conosciamo, ci doniamo gli uni gli altri.
  • Con le parole noi ci relazioniamo con Dio, preghiamo, invochiamo.
E proprio parlandoci della preghiera, Gesù ci dirà: “non sprecate parole” (6,7). 
La parola è un dono che non va sprecato!
In questo tempo di quaresima vogliamo fare insieme una verifica del nostro linguaggio. Da dove partiamo?

Innanzitutto, le sorgenti.

San Giacomo, nella sua lettera, ci ricorda che le con la bocca possiamo contemporaneamente benedire il Signore o maledire gli uomini fatti a somiglianza di Dio. “Dalla medesima bocca procede benedizione e maledizione”, perciò ci esorta “Fratelli miei, non dev’essere così. La fonte getta essa dalla medesima apertura il dolce e l’amaro? Può, fratelli miei, un fico fare ulive, o una vite fichi? Neppure può una fonte salata dare acqua dolce” (Gc 3,10-12).
Un cuore vero, pronuncia parola vere: una verifica dei nostri linguaggi, è perciò una verifica del cuore. 
Una parola cattiva, invidiosa, bugiarda, sospettosa ci interroga sui sentimenti che portiamo nel cuore.
Una parola buona, misericordiosa, premurosa, pacificatrice riempie di pace il nostro cuore.
Vogliamo fare una verifica del cuore a partire da tre tentazioni e due impegni.

La tentazione della menzogna
Gesù n ci dice che il diavolo è “menzognero e padre della menzogna” (Gv 8,44): è questa l’esperienza che fatta da Adamo ed Eva e che facciamo noi di satana. Il male ci inganna, ci illude, ci conduce pian piano fuori di noi e ci divide.
Il bisogno di verità, di autenticità, ci porta pian piano verso noi stessi e verso gli altri.
La fede, l’esperienza religiosa non è un nickname, una maschera dietro cui ci nascondiamo per piacere a qualcuno, fosse anche Dio. 
La fede è un percorso – a volte anche doloroso – verso l’autenticità della nostra vita, dove non mancano fragilità, contraddizioni, sofferenze, ma anche consolazioni, gioie e speranza.

La tentazione del giudizioL’esigenza di verità non ci porta mai al giudizio, perché la verità più profonda di noi stessi è l’amore. Il giudizio è una menzogna su noi stessi, perché, agendo così, ci mettiamo al posto di Dio. Chi sono io per giudicare? (cf. Gc 4,12) Come posso entrare nel cuore dell’uomo? Solo Dio può giudicare perché Lui “non guarda le apparenze ma il cuore dell’uomo” (1 Sam 16,6). Non giudicare non vuol dire restare indifferenti rispetto alla storia del mondo, ma entrare pian piano, con amore, nel cuore delle persone e delle situazioni, lasciarci coinvolgere e non “restare sul balcone” aspettando che passi la prossima vittima!
Gesù con chiarezza ci ha detto “non giudicate” (Lc 6,37), egli conosce il cuore dell’uomo e sa quanto siamo deboli, perciò ci mette in guardia con chiarezza e durezza!

La tentazione della mormorazione
Il giudizio che compiamo con la mente e il cuore emerge con le nostre parole. Il termine “mormorare” è usato spesso nel vangelo per gli scribi e i farisei, per indicare la durezza del loro cuore nell’accogliere il Signore.
La mormorazione è il lamento di un cuore duro, è il pianto di una ferita che non abbiamo ancora curato, è l’amplificazione di un male che non riusciamo a contenere nel cuore.
Quanto male può fare una lingua che mormora, calunnia, si compiace del pettegolezzo. S. Giacomo scrive: “è come un piccolo fuoco che può incendiare una grande foresta” (Gc 3,5). Potremmo pensare: “che male ho fatto? Che cosa ho detto? Ho sentito dire”… 
Sono piccoli fuochi che, a volte, incendiano le nostre famiglie, le nostre comunità, le nostre relazioni.
A queste tre tentazioni possiamo rispondere con due atteggiamenti del cuore:

La riservatezza
La riservatezza, il segreto è il segno dell’autenticità delle nostre relazioni. La persona riservata è una di cui ci si può fidare! 
Ma la riservatezza non è un istinto, è un esercizio continuo. Giacomo ci dice che “chi è capace di tenere a freno la lingua, è capace di tenere a freno tutto il corpo” (cf Gc 3,2).
La riservatezza è un segno di forza, è indice di una capacità di autocontrollo e amore. Purtroppo viviamo in un tempo in cui molti provano piacere ad abitare la vita privata di persona anonime attraverso la tv, internet, o altri mezzi di comunicazione.
È il segno della grande solitudine che accompagna la nostra epoca: ci spiamo gli uni altri, pensando di conoscerci, ma restiamo soli dietro le nostre finestre!
Solo chi ama è riservato, è capace di abitare i segreti dell’altro senza aprire la porta del cuore. Poniamo un freno alla nostra lingua e “Dio, che vede nel segreto, ci ricompenserà”.

La benedizione
Il benedire è la parola di Dio sulla creazione: “e Dio vide che era cosa buona” (cf. Gen 1). Dio ci insegna a benedire-a dire bene. La benedizione è l’ultimo gesto del presbitero sulla comunità. Per me è stato sempre un motivo di riflessione: mi ricorda che l’ultima parola sulla mia comunità deve essere sempre una benedizione. Vorrei condividere con voi questa ultima considerazione che diventa un augurio reciproco: che l’ultima parola tra noi sia sempre una benedizione, sia sempre una parola buona. Sentiamo per noi l’esortazione di Paolo “ Nell'ira, non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira, e non date occasione al diavolo. […] Nessuna parola cattiva esca più dalla vostra bocca; ma piuttosto, parole buone che possano servire per la necessaria edificazione, giovando a quelli che ascoltano. E non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, col quale foste segnati per il giorno della redenzione. Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira, clamore e maldicenza con ogni sorta di malignità. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo” (Ef 4,26-32).

In questo tempo di quaresima, la tradizione cristiana ci invita alla preghiera, al digiuno, all’elemosina.
Esercitiamo il nostro linguaggio nella preghiera del cuore, nel digiuno da parole futili o cattive, nell’elemosina, nel dono di parole di misericordia, bontà e perdono.

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