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Natale 2012 Non aver paura del sogno di Dio

Non aver paura del sogno di Dio!
Abbiamo atteso il Natale del Signore, per sentire ancora una volta, in modo nuovo, risuonare nella santa assemblea l’annuncio dell’angelo: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2,10-11).
Di questo annuncio ne abbiamo tutti bisogno come i pastori e ne sentiamo la mancanza come i magi.
Oggi sentiamo anche per noi le parole dell’angelo: “non temere”!
Quest’invito ricorre nella Bibbia 365 volte; di solito prima di una vocazione, cioè prima di un messaggio di Dio circa la vita e la missione di un uomo: è rivolto a Mosè, Giosuè, Giuseppe, a Maria, Pietro, Giovanni, ai pastori.
“Non avere paura” è il vento che spalanca le porte ad annuncio nuovo! Dio ha un sogno, un progetto, un desiderio nei confronti dell’uomo, Dio ha un desiderio di salvezza per l’uomo! Dio cerca l’uomo perché lo vuole felice!

Dove sei?
Nel libro della Genesi, l’uomo, dopo aver commesso il suo primo peccato si nasconde da Dio, si chiude nel suo silenzio, si incammina, solitario, nel giardino dell’Eden. 
Il suo silenzio viene riempito da una domanda, da una parola rivolta da Dio: “Uomo, dove sei?” (cf. Gen 3,9).
All’uomo peccatore, Dio rivolge un appello: dove sei?
Questa domanda, come un ritornello, potrebbe accompagnare la storia di Israele, la storia della Chiesa, la nostra storia dell’umanità, la nostra storia personale.
Dove sei? Dove ti sei nascosto? Dove ti sei rifugiato? In cosa stai confidando?
Questa domanda diventa carne nella storia di Gesù di Nazareth: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio” (Gv 3,16). Con queste parole l’apostolo Giovanni ci rimanda alle sorgenti dell’incarnazione, ci annuncia il motivo, il fine della nascita, della missione e della vita di Gesù.
Ci dice che il “perché” di Gesù è nella primordiale domanda del Padre: Dove sei uomo? il “perché” del Figlio di Dio è nel desiderio di Dio!
Vedendo Gesù, ascoltando la sua parola, toccando la sua presenza misteriosa nei sacramenti e nei poveri, noi sentiamo risuonare nel cuore questo primordiale e sempre nuovo appello: Dove sei? 
Questa domanda crea in noi un certo imbarazzo, disorientamento, confusione.
In questo tempo, frutto anche di ideologie che negano l’esistenza di Dio, di sistemi di pensiero che tentano di anestetizzarne la Parola o relativizzarne la verità, la domanda di Dio sull'uomo si fa ancora più profonda e intensa.

Dove siamo? 
Non possiamo rispondere a questa domanda se non sappiamo da dove siamo venuti e dove stiamo andando!
Se siamo venuti dal nulla e andiamo verso il nulla, il vuoto, l’indefinito, allora non sapremo mai neanche dove siamo! 
Non possiamo comprendere il senso dell’oggi senza leggere con occhi sapienti la nostra storia. 
Non possiamo comprendere l’oggi senza preparare il futuro con responsabilità. Non con la superficialità di chi non pensa alle conseguenze delle proprie scelte, né con la superstizione di chi scommette sul nulla.
La domanda “dove sei?” è una delle questioni fondamentali della nostra vita. E oggi, la sentiamo risuonare, in un modo tutto nuovo e speciale in questo tempo di Natale.

Gesù: la domanda di Dio
Nel mistero dell’incarnazione di Gesù, la primordiale domanda di Dio si trasforma in un gesto, in uno sguardo, in un sorriso.
I vangeli ci raccontano questo passaggio di Dio nella nostra storia, nella terra di Israele, tra le strade di Betlemme, Nazareth, Cafarnao, Betania, Gerusalemme…
Ci parlano di Gesù facendoci vedere il suo sguardo, lasciandoci accarezzare dalle sue mani, inebriandoci con il profumo della sua presenza, facendoci assaporare la sua carne.
I vangeli ci consegnano un Gesù vivo che si commuove nel vedere una donna che gli lava i piedi con le sue lacrime, profumandoli con aromi (Lc 7,36-50), che fissa lo sguardo sugli uomini amandoli (cf. Mc 10,21), che si lascia amare attraverso le strade misteriose della carità: “ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto" (Mt 25,35).
La domanda di Dio (Dove sei?) in Gesù diventa ricerca e incontro. Egli bussa alla porta del nostro cuore chiedendoci di entrare “Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20).
Nell’incontro con Gesù noi incontriamo tutta la nostra umanità, siamo condotti da Lui ad una comprensione nuova di noi stessi. Gesù ci aiuta a comprendere dove siamo! Egli ci ricolloca in modo nuovo nella storia, aiutandoci a superare la tentazione della fuga o dell’isolamento.

L’amore: la vita del credente
Il Natale, quindi, ci riporta alle sorgenti della fede: Dio ha tanto amato il mondo!
Siamo nati dall’Amore, veniamo di là. La carità è, perciò, la sorgente inesauribile del nostro essere. 
Nella carità scopriamo noi stessi, ciò che siamo oggi. Essa è il luogo della nostra identità. Siamo carità!
L’uomo, con il peccato, si è allontanato da questa sorgente e non solo ha perso la freschezza della sua relazione con Dio ma ha perso anche se stesso, il valore delle cose, il senso del tempo, la bellezza della relazione.
La nascita di Gesù, perciò, è per noi un invito a ritornare alle sorgenti della fede, al “primo amore” (Ap. 2,4).
Questa consapevolezza ci fa credenti!

Chi sono i cristiani? 
Sono coloro che credono nell'amore, credono nella carità e di essa non ne possono fare a meno per essere se stessi.
La carità è la nostra identità! Ricordiamo S. Paolo: “senza la carità, io non sono”, non esisto! (cf. 1 Cor 13).
Cosa vuol dire credere all'amore? Lo sappiamo bene: credere che ogni problema, ogni tensione, ogni fatica, ogni crisi può essere superata solo dall'amore, solo dalla carità.
Noi crediamo che l’ultima parola sull'altro non può essere il giudizio ma l’amore: "Non tramonti il sole sopra la vostra ira" (Ef 4,26) – ci ricorda san Paolo. 
L’ira, il rancore, la rabbia, la delusione, l’invidia non possono essere l’ultima parola fra marito e moglie; l’ultimo saluto fra due amici; l’ultimo sguardo fra due persone, l’amen della nostra preghiera.
Quanto è vera e drammatica questa verità della nostra fede: senza la carità non siamo più credenti.
Mentre vi dico queste cose penso a me stesso, alle mie fatiche, alle sofferenze e incomprensioni disseminate lungo la strada della mia vita, e confesso le innumerevoli “vie d’uscita” che Dio ha aperto attraverso la carità, il perdono, l’accoglienza, la misericordia, il dono. Non posso, perciò, esimermi dal dire a me stesso e ad ognuno di noi che non c’è altra salvezza per la nostra vita! Non c’è un altro modo per essere felici, se non amare! L’amore è il luogo in cui siamo noi stessi!
Preghiamo, perciò, il Signore perché vivendo intensamente questo anno della fede possiamo generare e assaporare la carità, primo frutto della fede.

Credenti credibili
La carità, però, non solo ci rende credenti: essa ci rende credibili!
L’annuncio fatto dagli angeli è rivolto ai pastori e ai magi; a due categorie di uomini che nella tradizione ebraica vivevano ai margini del tempio e del culto. 
I pastori erano ritenuti uomini impuri perché contaminati dal bestiame, dimoravano fuori dalle città,  non partecipavano alle attività del tempio. Dei magi non sappiamo nulla se non che cercavano Dio al di là di ogni circuito preconfezionato, percorrendo le strade del dubbio e dell’incertezza.
A loro è rivolto il primo annuncio dell’amore di Dio. Di qui inizia la missione di Cristo, da questo luogo privilegiato inizia la missione di Gesù e della Chiesa. I Vescovi italiani scrivono: “il pastore Gesù è la trasparenza dell’amore di Dio, che non abbandona nessuno, ma cerca tutti e ciascuno con passione. Tutte le scelte pastorali hanno la loro radice in quest’immagine evangelica di ardente missionarietà. Essa appartiene in modo tutto particolare alla parrocchia” (Il volto missionario della parrocchia in un mondo che cambia, 4).
L’orizzonte della missione della Chiesa si allarga accettando il rischio dell’annuncio in luoghi incontaminati. I rischio del primo annuncio, vuol dire, scommettere sul nuovo, coniugare il Vangelo con il quotidiano, non smettere di credere.
Ma come possiamo essere credibili? Forse non è sufficiente la logica dei ragionamenti, l’affanno organizzativo, la rettitudine del giudizio. Siamo credibili se rischiamo nella carità.
Senza la carità le nostre liturgie, le nostre attività, i nostri impegni e sacrifici sono inutili all'annuncio del Vangelo. 
Ce lo dice Paolo: senza la carità i nostri canti e le nostre preghiere comunitarie sono stonate, senza la carità le nostre elemosine o donazioni sono vuote, senza la carità i nostri sacrifici e – addirittura – anche il dono della nostra vita non serve a nulla!
La carità per noi è tutto, è la musica delle nostre Chiese, il calore delle nostre elemosine, la bellezza della nostra missione, il sorriso delle nostre catechesi.
Senza la carità i nostri cori diventano insopportabili, i nostri catechisti ed educatori tristi e sfiduciati, i nostri gruppi luoghi di pettegolezzo o giudizio.
Con la carità, dalle nostre messe si eleva il profumo dell’accoglienza;
dalle nostre catechesi la gioia e l’entusiasmo dell’annuncio;
dai nostri gruppi la faticosa bellezza della vita comune,
dalla nostra parrocchia viene testimoniata l’armonia della comunione.

Credenti nella storia
Il presente porta con sé molte incognite: il clima economico e sociale in cui viviamo rischia di confonderci e isolarci, il relativismo morale ed educativo ci disorienta, la prassi amministrativa, politica, ci amareggia.
La paura ci porta a nasconderci, a fuggire dagli altri e da noi stessi, a rassegnarci. 
Il cristiano vive le ansie, le preoccupazioni, le fatiche di tutti gli uomini di oggi (l’incertezza del lavoro, la fragilità degli affetti, l’incomprensione e l’isolamento), ma la complessità del presente non ci lascia ammutoliti!
A noi è affidato un annuncio: non temere, non aver paura, Dio ha aperto per noi una strada, una via nuova!
Per noi è stato tracciato un percorso! Portiamo con noi l’annuncio del Natale: non abbiate paura di amare, fidatevi di Dio, il resto verrà di conseguenza.

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