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Pasqua 2021. In questi giorni Dio ha parlato a noi


“Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio”
(Eb 1,1). 

Così inizia la lettera agli Ebrei. È questo il senso dell’ascolto dell’Antica Alleanza nella nostre liturgie (particolarmente nella veglia pasquale): ascoltiamo come Dio ha parlato “nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti”. 

Ma il testo prosegue: “ultimamente, in questi giorni, Dio ha parlato a noi per mezzo del Figlio”. 

L’avverbio ultimamente ha una ricchezza di significati: ci dice non solo che la rivelazione di Gesù è avvenuta in un tempo storico determinato, ma anche che essa è l’ultima (non ce ne saranno altre). Gesù è “l'Alfa e l'Omega, il Primo e l'Ultimo, il principio e la fine” (Ap 22,13). La solennità con cui viene proclamato il Vangelo durante la liturgia, sottolinea la definitività di Cristo nella rivelazione. “Egli è la Parola definitiva del Padre, così che, dopo di lui, non vi sarà più un'altra rivelazione” (CCCC 73). Perciò nessuna rivelazione privata potrebbe migliorare o completare la rivelazione (cf. CCCC 67).

Ma questa sera abbiamo ascoltato più volte nell’Exultet “questa è la notte” e il presbitero più volte dirà “oggi”.

Perciò ci chiediamo: come la Rivelazione definitiva di Cristo, avvenuta una volta per sempre, può essere attuale per noi? In che maniera Gesù, vivo e risorto, può continuare a parlare nei cambiamenti della storia e del mondo? 

Questa non è una domanda secondaria. I ragazzi o i giovani la esprimono con l’espressione: “a me il vangelo non dice più niente”, “la chiesa è una cosa vecchia”, “sono cose per altri tempi”. 

Siamo chiamati, perciò, a chiederci: come la Parola ultima di Gesù può parlare in questi giorni. Non si tratta di una “aggiornamento” della Parola di Dio ma di un nuovo ascolto che chiede di lasciarci interpellare da Gesù Risorto che ci precede in Galilea.

In questo giorno di Pasqua questa domanda risuona come un invito, una provocazione, una ricerca. Nella Pasqua noi celebriamo la risurrezione di Gesù, la sua vittoria sulla morte, ma, anche, la nostra rinascita, il nostro incontro con Lui, un nuovo atto di fede. Siamo certi che, ancora oggi, il Risorto continua a parlare alla sua chiesa e al mondo intero.  

Stiamo vivendo un tempo di profondi cambiamenti che, la pandemia Covid-19, ha messo in luce e, a volte, ha anche nascosto. Di questi mesi potremmo fare solo una lettura scientifica o sociologica contando le conseguenze della pandemia in termini di vittime umane, spese economiche, attività lavorative. È un primo dato che non ci può lasciare indifferenti specialmente se ai numeri mettiamo volti, storie e relazioni. Ma siamo certi che, anche in questo tempo, il Risorto continua a parlarci, a camminare accanto a noi come con i discepoli di Emmaus. E sappiamo che la cecità della nostra umanità non ci aiuta a riconoscerlo così come non lo hanno riconosciuto le donne al sepolcro e i suoi discepoli. Per questo chiediamo a Gesù di restare con noi proprio quando si fa sera, di tornare ancora anche quando le porte del nostro cuore sono chiuse per la paura, di indicarci dove gettare le reti vuote della nostra esistenza. 

Ascoltando commenti, analisi, risoluzioni mi è venuta spesso alla mente una parola provocatoria di Gesù: “Sapete dunque interpretare l'aspetto del cielo e non siete capaci di interpretare i segni dei tempi?” (Matteo 16, 2-3).

Mi piacerebbe, perciò, leggere con voi questo tempo come un “segno dei tempi”. 

La lettura dei segni dei tempi è un profondo cammino di discernimento in cui siamo chiamati a leggere gli avvenimenti storici, illuminati dallo Spirito e dalla Sacra Scrittura, restando nella comunione ecclesiale. 

Come possiamo riconoscere i segni con cui Dio continua a rivelarsi nella storia? Cosa ci aiuta a discernere i nostri pensieri da quelli di Dio?

In questi giorni ho letto un racconto:

“C’era una volta un vecchio seduto all’ingresso di una città del Medio Oriente. Gli si avvicinò un giovane e gli disse: “Non sono mai stato qui; come sono le persone che vivono in questa città?” Il vecchio gli rispose con una domanda: “Com’erano le persone della città da cui provieni?” “Egoiste e cattive. Proprio per questo sono stato ben contento di partire”, rispose il giovane. L’anziano disse: “Qui troverai le stesse persone”. Poco dopo un altro giovane si avvicinò e gli pose la stessa domanda: “Sono appena arrivato in questa regione; come sono le persone che vivono in questa città?” Il vecchio rispose di nuovo: “Dimmi, ragazzo mio, com’erano le persone nella città da cui provieni?” “Erano buone, accoglienti e oneste; avevo molti buoni amici; mi è dispiaciuto molto venir via”, rispose il giovane. “Qui troverai le stesse persone”, rispose il vecchio.

Un mercante che abbeverava i suoi cammelli non lontano di lì aveva udito entrambe le conversazioni. Appena il secondo ragazzo se ne fu andato, si rivolse al vecchio con tono di rimprovero: “Come puoi dare due risposte così diverse alla stessa domanda posta da due persone?” “Chi apre il suo cuore cambia anche modo di guardare gli altri - rispose il vecchio - ognuno porta il suo universo nel suo cuore”.

Siamo chiamati a far entrare Gesù Risorto nel nostro cuore, come i discepoli di Emmaus. Quando Lui abita nel cuore, un po’ alla volta, impariamo a riconoscerlo anche fuori di noi, impariamo a leggere la storia a partire dalle Beatitudini. 

È questo il senso del nostro discernimento: stare con Gesù per guardare il mondo con i suoi occhi, per riconoscere i segni con cui continua a parlarci e a salvarci.

Non ho risposte da darvi ma vorrei condividere con voi quattro riflessioni, quattro avvenimenti che per me sono una continua provocazione, un invito a lasciarmi cercare dal Risorto.

  1. La pandemia ha fatto emergere la fragilità umana (il dolore, la paura, la malattia, la morte stessa). Qual è stato l’atteggiamento dei cristiani? Abbiamo sentito l’invito pasquale di Gesù “non abbiate paura” come un invito per noi? Siamo stati capaci di essere vicini a chi necessariamente si è trovato isolato, solo, abbandonato? Qual è la risposta del cristiano al dolore dell’umanità? Non avere paura, evidentemente, non vuol dire essere spavaldi, superficiali o irresponsabili, né vivere la fede come una sorta di magia pensando che sia sufficiente un po’ di acqua santa per debellare una malattia fisica. La paura immobilizza, fa scappare, de-responsabilizza, ci isola facendo pensare a noi stessi. Hanno avuto paura coloro che si sono isolati rompendo ogni tipo di relazione, nonostante i mezzi di comunicazioni differenti; hanno avuto paura coloro che hanno abbandonato il loro posto di lavoro pur potendo usare precauzioni necessarie; hanno avuto paura coloro che hanno pensato ad arricchire se stessi ignorando le difficoltà degli altri. Non è questo un segno dei tempi che dovremmo leggere? Il vangelo è ancora capace di renderci coraggiosi o, piuttosto, dinanzi alla malattia, alla sofferenza, alla morte, in fondo, siamo come gli altri? Un segno dei tempi per me sono stati i medici, gli infermieri, i volontari, tutti coloro che in questo tempo, con prudenza e passione, non hanno fatto un passo indietro nel posto in cui il Signore li ha posti.

  2. La pandemia ha coinvolto tutte le nostre famiglie, particolarmente quelle che hanno dovuto continuamente adattare i propri ritmi quelli dei propri figli. Ho percepito l’impegno dei genitori che hanno dovuto ripensare la propria vita a partire dai più piccoli. Mi sono chiesto se ero disposto a cambiare, a pensare, a impegnarmi perché il vangelo potesse incontrare anche chi è affannato.

Un segno dei tempi per me sono state le famiglie per cui abbiamo voluto ripensare e riadattare i percorsi per i bambini. Sono molto grato a quanti, non senza fatica e impegno, si sono messi a servizio di questo cammino di discernimento e alle 170 famiglie che si sono lasciate accompagnare. Questo tempo ci ha chiesto abbandonare le nostre rigidità, consuetudini e stili. Mi auguro che tutto questo continui a interrogare i nostri educatori e i nostri gruppi.

  1. La pandemia ha fatto emergere la lontananza della chiesa dai giovani e viceversa. In questo anno ho sentito, non senza amarezza, questa assenza. L’entusiasmo giovanile si è spento lentamente sotto il peso di una quotidianità che ha reso faticosa ogni relazione e iniziativa. 

Un segno dei tempi sono i giovani. Lo sono sempre, in ogni epoca della storia. Attraverso le nuove generazioni Dio, che fa nuove tutte le cose, rende nuova anche l’umanità. C’è un profondo invecchiamento delle nostre società, non solo in senso numerico ma anche qualitativo. Dobbiamo ascoltare sempre i giovani, le loro domande, le loro provocazioni, i loro suggerimenti. In questo anno, quando tutti necessariamente siamo dovuti stare nelle nostre case, alcuni giovani si sono avvicinati spontaneamente ai luoghi di carità e si sono messi a disposizione. In questi mesi alcuni giovani sono ritornati alle nostre celebrazioni. I giovani oggi sono per noi un segno dei tempi perché ci chiedono di poter toccare e vedere i segni del Risorto. Forse sono come Tommaso, che ha voluto mettere le dita nei segni della passione? o come Pietro e i suoi compagni che hanno avuto paura di avvicinarsi a Lui? o come Maria di Magdala e le sue amiche o i discepoli di Emmaus che non lo hanno riconosciuto subito? A nessuno di essi, però, Gesù ha rifiutato la sua presenza, anzi, li ha resi per noi un motivo di speranza. Non ha aspettato che andassero da Lui, ma si è presentato nella loro vita, nelle loro domande, nelle loro delusioni.

  1. L’ultimo segno dei tempi che mi ha interrogato è quello che Papa Francesco chiama “le periferie esistenziali del mondo”. Nella nostra comunità il numero di persone che vengono da altre nazioni è cresciuto, seppur non in modo esasperato così come vorrebbero farci credere. Così come è cresciuto in numero di  persone e famiglie in difficoltà anche a causa della pandemia. Mi sto chiedendo da tempo se oltre a dar loro un'ospitalità, un po’ di cibo, se questo tempo ma ci stiamo interrogando su come annunciare il Vangelo. Ci sono persone, tra noi che vengono accolte dalla nostra caritas ma, dobbiamo riconoscere che non sappiamo ancora come annunciare il vangelo della resurrezione. Qualcuno potrebbe già pensare a proposte di catechesi, itinerari di evangelizzazione, o luoghi dove incontrarsi. Secondo me non siamo capaci non perché non abbiamo gente capace di evangelizzare ma semplicemente perché non ci interessano. Siamo presi troppo dalle nostre cose da non avere il tempo di fermarci a chiacchierare con loro per conoscere la loro cultura, i loro problemi e le loro capacità. Non sono solo stranieri, a volte, ci sono estranei. So bene quanto sia faticoso ma loro ci aiutano a decentrarci, ad incontrare Gesù presente realmente in coloro che sono più piccoli.

Miei cari fratelli e sorelle,

la Pasqua è un evento straordinario che ci chiede di interrogarci su come il Risorto continua incontrarci e a rendere nuova la nostra vita. Continuiamo a farlo nei cinquanta giorni di Pasqua interrogandoci sui segni dei tempi che Gesù ci annuncia.

Oggi celebreremo il battesimo di Ines Teresa. 

Grazie per questo dono che oggi fai a tutta la nostra comunità. Hai scelto di diventare cristiana: nessuno te l’ha imposto. Oggi diventi cristiana non da sola ma in una comunità. La fede non è mai una ricerca isolata, è sempre una relazione. Ce lo ricordano gli incontri del Risorto con la sua comunità. Impariamo a diventare cristiani insieme. È il senso del Battesimo che riceviamo nella Chiesa. Entri nella chiesa non compiendo un atto burocratico, una iscrizione o un esame. Entri nella chiesa attraverso un sacramento, un mistero, un’azione della grazia di Dio che passa attraverso i segni semplici dell’acqua, dell’olio, del pane e attraverso la preghiera e l’azione della comunità cristiana e dei suoi ministri. Tutto questo ci ricorda che essere cristiani non vuol dire appartenere ad un gruppo, essere iscritti ad un partito ma essere innestati come i tralci all’unica vite che è Cristo.  

Grazie Ines perché questa sera ci riconsegni questa consapevolezza. Parteciperemo al tuo battesimo con le candele che accenderemo dal cero pasquale, frutto del lavoro delle api e simbolo della nuova luce, chiedendo al Signore che mantenga sempre viva in noi quella luce che ci è stata donata e che questa sera consegneremo anche a te. 

Gioisca la madre Chiesa, splendente della gloria del suo Signore, 

e questo tempio tutto risuoni per le acclamazioni del popolo in festa.


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