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ALL’INIZIO DI UN NUOVO ANNO BENEDICENTI, PAZIENTI, DESIDEROSI

Nel libro dei Numeri il Signore invita Mosè a benedire il suo popolo: “Così benedirete gli Israeliti” (cf. Nm 6,22-27). La benedizione è una parola rivolta su coloro che abbiamo di fronte: una parola buona sugli altri.

All’inizio di un nuovo anno sentiamo il bisogno di chiedere al Signore una parola buona, consapevoli di aver ricevuto la buona Parola, Gesù, la benedizione di Dio sull’umanità.

Ancora una volta ci mettiamo dinanzi al Signore con la consapevolezza di aver bisogno di una parola per ricominciare, per riprendere il cammino di un nuovo anno. 

 

L’appiattimento sul presente e la frenesia delle società occidentali ci hanno reso analfabeti nella speranza. Attraverso i social media riusciamo, a malapena, a farci un augurio, ad inviare parole di auspici o presagi.

La parola ha una grande forza. L’apostolo Giacomo usa una immagine: “Ecco, anche le navi, benché siano così grandi e spinte da venti gagliardi, con un piccolissimo timone vengono guidate là dove vuole il pilota. Così anche la lingua: è un membro piccolo ma può vantarsi di grandi cose. Ecco: un piccolo fuoco può incendiare una grande foresta!” (Gc 3,4-5).

Il vocabolario della speranza è affidato alla nostra parola: con essa possiamo dirigere la grande nave della vita e della storia. Un piccolo fuoco può incendiare la foresta della fiducia, della operosità e dell’entusiasmo. 

Questa sera vogliamo arricchire il nostro alfabeto attraverso alcune parole di speranza: 

1.              La benedizione: essa porta con sé un augurio che diventa per noi motivo di speranza. Perciò, mi piace pensare alla benedizione come una delle parole del vocabolario della speranza. Il benedire si contrappone alla maldicenza, al pettegolezzo e alla mormorazione.

Nel passato il padre dava la sua benedizione al figlio: era un linguaggio di speranza. La parola buona sul figlio recava prosperità, gioia, fecondità. Purtroppo, a volte, ascoltiamo parola negative tra le generazioni, parole di scoraggiamento o delusione. Il figlio attende dal padre sempre una benedizione. La maldicenza sulla bocca degli adulti spegne il fuoco della speranza nelle nuove generazioni. Se penso agli inizi del mio ministero non posso che ringraziare chi, più grande di me, mi ha incoraggiato, stimato, benedetto. Con le loro parole mi hanno aiutato a crescere e, senza nascondermi gli errori, mi hanno indicato una strada da percorrere. Non nego che, altre volte, ho sentito, come un freno e un motivo di scoraggiamento, parole di maldicenza anche nelle nostre Comunità.

É proprio vero ciò che dice Giacomo: “Dalla stessa bocca escono benedizione e maledizione” (Gc 3,10). Questa tentazione subdola può trovare spazio anche tra noi che siamo abituati a benedire, lodare, pregare. Dalla stessa bocca: è ciò che capita quando, uscendo o restando in chiesa, si fanno commenti inopportuni; è ciò che succede quando, dopo aver taciuto nelle riunioni, al termine ci soffermiamo a commentare su chi ha dato il proprio contributo; è ciò che avviene quando facciamo un complimento a qualcuno, a volte anche col sorriso, (benediciamo) ma, di fatto, lo stiamo sferzando con le nostre parole (malediciamo). Sarà questo il motivo per cui la parola “bigotto” o “bizzoca”, nel linguaggio comune, sono sinonimi di pettegolo o maldicente. Proprio il contrario di quanto scriveva Tertulliano a proposito dei cristiani del II secolo. “La gente”, egli scrive, diceva dei cristiani “'Vedi come si amano tra loro, e come sono pronti a morire l'uno per l'altro” (cf. Apologia 39). 

La benedizione è la parola che lo stesso Paolo consegna alla comunità di Roma invitando ognuno a vivere l’amore vicendevole (“amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda” (Rm 12,10) ed estendendo questo amore con la benedizione fino a coloro che ci perseguitano: “Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite. Rallegratevi con quelli che sono nella gioia; piangete con quelli che sono nel pianto” (Rm 12,14-15). E così alla Chiesa di Efeso: “Nessuna parola cattiva esca dalla vostra bocca, ma piuttosto parole buone che possano servire per un'opportuna edificazione, giovando a quelli che ascoltano” (Ef 4,29).

2.              La pazienza. La speranza cristiana non è frettolosa, non risponde alle logiche del “fast food”. Ancora una volta, la lettera di Giacomo ci viene incontro con l’invito: “ognuno sia pronto ad ascoltare, lento a parlare e lento all'ira” (Gc 1,19). Ad essa fa eco un’immagine: “Guardate l'agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge. Siate costanti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina. Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati” (Gc 5,7-9). La speranza cristiana è paziente perché è mossa dall’operosità della carità. In questo tempo veloce non possiamo riconoscere forme di analfabetismo nella pazienza: desideriamo subito i frutti, ci spazientiamo se non arrivano, ci lamentiamo se sono ancora acerbi… come se la storia dipendesse unicamente da noi. 

La pazienza senza la speranza è rassegnazione, è tristezza, è delusione. Dalla nostra pazienza riusciamo a misurare la nostra speranza. Quanto più è vasto e lontano l’orizzonte della speranza, tanto più è grande la nostra pazienza; quanto più è tenace la nostra speranza, tanto più è concreta la nostra pazienza; quanto più è piena di amore la nostra speranza, tanto più è ricca di tenerezza la nostra pazienza. 

 

3.              Il desiderio. La parola desiderio indica una mancanza. Il senso etimologico ci richiama la mancanza delle stelle. È difficile parlare di desideri in un tempo in cui facciamo fatica a fare un regalo a chi ha tutto. “La speranza non è virtù per gente con lo stomaco pieno” - scrive Papa Francesco - “Nella notte del primo Natale c’era un mondo che dormiva, adagiato in tante certezze acquisite. Ma gli umili preparavano nel nascondimento la rivoluzione della bontà. Erano poveri di tutto, qualcuno galleggiava poco sopra la soglia della sopravvivenza, ma erano ricchi del bene più prezioso che esiste al mondo, cioè la voglia di cambiamento. A volte, aver avuto tutto dalla vita è una sfortuna. Pensate a un giovane a cui non è stata insegnata la virtù dell’attesa e della pazienza, che non ha dovuto sudare per nulla, che ha bruciato le tappe e a vent’anni “sa già come va il mondo”; è stato destinato alla peggior condanna: quella di non desiderare più nulla. E’ questa, la peggiore condanna. Chiudere la porta ai desideri, ai sogni. Sembra un giovane, invece è già calato l’autunno sul suo cuore. Sono i giovani d’autunno”. 

In questo tempo, in cui siamo stati privati di alcune cose, la speranza dovrebbe risvegliare il desiderio di cercarle, viverle e costruirle. Chi non possiede l’alfabeto della speranza, dinanzi alla privazione, si lamenta, si arrabbia, non resiste. 

Il desiderio risveglia la certezza che la felicità è fuori di noi, nasce da una mancanza, perciò, ci sprona a camminare, a lavorare, ad impegnarci. La speranza cristiana nasce dal desiderio, perciò è operosa. 

S. Agostino immagina che Dio dia all’uomo la possibilità di chiedere qualsiasi cosa e domanda: “cosa chiederai?”. Poi aggiunge: “Rifletti bene, dilata la tua avarizia, estendi il tuo desiderio, allarga la tua bramosia; non è uno qualunque, ma è Dio onnipotente che ti ha detto: Chiedi ciò che vuoi”. Perciò, continua a domandare: chiederesti la terra? E poi il mare? e poi il cielo? E dopo aver analizzato tutti i benefici che ricaverebbe l’uomo nel possedere tutto ciò che Dio ha creato, aggiunge: “Chiedi Colui che tutto ha fatto, ed in Lui e da Lui avrai tutto ciò che ha creato. Tutte le cose hanno gran valore, perché tutte sono belle; ma che cosa è più bello di Lui? Tutte le cose sono forti: ma che cosa è più forte di Lui? E niente vuole tanto donare quanto se stesso. Se troverai qualcosa di meglio, chiedila. Se chiederai qualcosa d'altro farai offesa a Lui e danno a te, anteponendo la sua opera a Chi l'ha fatta, mentre vuol darsi a te Egli stesso che l'ha creata” (Esposizioni sui Salmi, 34).

Nel tempo di Natale ci è dato di accogliere, nella carne, il Creatore. Il nostro desiderio di Dio ha un volto: “Gesù Cristo, nostra speranza” (cf 1 Tm 1,1; Col 1,27).

Carissimi fratelli e sorelle, 

All’inizio di questo nuovo anno, ancora una volta, ci poniamo, come i pastori, dinanzi al mistero dell’incarnazione di Gesù. In Lui poniamo la nostra speranza perché tutta la nostra vita sia una benedizione. Con Cristo attendiamo pazientemente la venuta del Regno. Per mezzo di Gesù ogni nostri desiderio sia rivolto al Padre.

Lasciamoci accompagnare, in questo anno, dal Te Deum in cui preghiemo: Ogni giorno ti benediciamo, lodiamo il tuo nome per sempre. […] Tu sei la nostra speranza, non saremo confusi in eterno.

 

31 dicembre 2020 - 1 gennaio 2021

d. Domenico Giannuzzi

Preghiera fine anno sociale 2020

Gesù questa sera vogliamo esprimere la preghiera per la nostra vita

attraverso le nostre mani.

 

Ti presentiamo le nostre mani vuote consapevoli della pochezza della nostra vita,

della fragilità della nostra esistenza, del limite del nostro tempo.

Le mani vuote non nascondono le rughe dei nostri vizi,

i calli dei nostri peccati, le ferite delle nostre mancanze.

Siamo consapevoli del nostro peccato

per questo ti chiediamo di riempire le nostre vite del balsamo della tua misericordia.

Perdonaci, Signore, se abbiamo chiuso le porte del cuore a Te che sei la nostra speranza.

 

Ti offriamo le nostre mani giunte.

Come quelle del servo tra le mani del suo padrone in segno di obbedienza,

anche noi vogliamo, questa sera, mettere la nostra vita nella tua.

Aiutaci ad essere donne e uomini obbedienti alla tua volontà,

disposti ad annunciare il vangelo,

a vivere la storia e la vita consapevoli che non siamo mai soli.

 

Ti offriamo le nostre mani aperte in memoria di tutti coloro che

hanno fatto di questo tempo un dono per Te e per gli altri.

In questo anno la solidarietà e la carità sono state

la nostra lode, la nostra invocazione, la nostra preghiera

per chi era nel bisogno e nella necessità.

Aiutaci a tenerle sempre aperte, anche quando abbiamo paura di chi ci è accanto,

 anche quando siamo insicuri per il nostro futuro,

anche quando ci sentiamo più fragili degli altri.

 

Attraverso le nostre mani fa che possiamo accogliere la tua benedizione

mentre ci segniamo con il segno della croce

e quando ti accogliamo nella santa comunione.

Con la nostre mani fa che possiamo portarti nel nostro lavoro,

assaporarti nelle nostre carezze, donarti nei gesti di carità.

Le nostre mani siano rivolte a te per benedirti e verso gli altri per amarti. Amen

Commenti

  1. Condivido ogni parola e sento il mio cuore tremare di commozione nel vedere espressi sentimenti che avevano dentro di me una cittadinanza nebulosa e che ora invece sono binari luminosi sui quali camminare.

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