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Come i pastori e i magi: analfabeti e curiosi

Il tempo di Natale presenta due destinatari privilegiati dell’annuncio della nascita del Messia: i pastori e i magi. I primi sono uomini che vivono una condizione di marginalità, poveri e analfabeti. I secondi, si presentano in una condizione economica e culturale differente: possono viaggiare e sono accolti alla corte del Re Erode. Il loro status, però, non colma una lacuna: anche essi non conoscono, non sanno. Hanno un'intuizione, una visione, cercano ma non trovano. 

Dinanzi al mistero di Dio, a volte, ci sentiamo come i pastori: completamente analfabeti, assorbiti dalle preoccupazioni quotidiane, occupati dai nostri affanni. Altre volte come i magi: percepiamo qualcosa, cerchiamo ma non abbiamo gli strumenti per parlare di Dio. Abbiamo delle conoscenze culturali, ci siamo fatti delle idee ma ci sentiamo analfabeti rispetto al linguaggio della fede. 

Questa condizione ha richiamato alla mia mente tre forme di analfabetismo che mi piacerebbe declinare con la fede, la speranza e la carità. Ho pensato, perciò, di condividere con voi alcuni pensieri che ci accompagneranno per tutto il tempo di Natale. Perciò, in questo giorno mi soffermerò principalmente sul cosiddetto analfabetismo religioso, il primo gennaio su quello della speranza, l’epifania sull’analfabetismo della carità.

  • L’analfabetismo della fede

In questi tempi rischiamo di credere in una religione del “fai a da te”, una sorta di Dio fatto a nostra immagine e somiglianza, un Dio che ci dà sempre ragione, che ci assomiglia o che ha tratti sbiaditi. Perciò, con il passar del tempo, finisce per non interessare più, non dire nulla di nuovo, non ci interpellare. 

L’analfabetismo religioso coinvolge tutti: i genitori che non sentono più il bisogno di insegnare ai propri figli le preghiere quotidiane o gli atteggiamenti elementari della fede (il segno di croce, la genuflessione, il rispetto per i luoghi sacri); i giovani, certamente più informati che nel passato su discipline scientifiche o tecniche, alle cui competenze non corrisponde, purtroppo, il bisogno di cercare nella fede una risposta alle domande fondamentali della vita; gli adulti che frullano il discorso su Dio con opinioni e frasi fatte senza preoccuparsi di cercare ciò che pensano di aver trovato.

  • La dotta ignoranza

C’è una non-conoscenza di Dio che ci accompagnerà sempre nella vita, una “dotta ignoranza” per dirla con N. Cusano, che trova eco nelle Scritture: “Dio nessuno l'ha mai visto” (Gv 1,18) – “Nessuno mai ha visto Dio” (1Gv 4,12). 

A questa consapevolezza è legato l’annuncio degli angeli: Non temere, non rattristarti, Dio si è fatto conoscere. Gesù, immagine del Dio invisibile (Col 1,15), ci ha rivelato il volto del Padre (Gv 1,18. 6.46). Dio non ci ha lasciati nell’ignoranza, nella tristezza come coloro che non hanno speranza (cf. 1 Ts 4,13). Gesù è per noi il pedagogo. Apriamo la porta del cuore perché Lui possa amarci ed educarci (Ap 3,19). Se siamo qui è perché sappiamo che possiamo trovare una risposta alle domande della nostra vita. 

  • La sapienza del vangelo

Dai vangeli dell’infanzia di Gesù comprendiamo che la conoscenza delle Scritture e, quindi, di Cristo non è semplicemente un fatto culturale. Anche i sacerdoti di Erode conoscevano le Scritture ma sono rimasti nel palazzo e non si sono preoccupati di cercare il Maestro. 

La conoscenza del Vangelo è diversa dalla sapienza dell’uomo, a volte, vanitosa, orgogliosa, presuntuosa. La sapienza di Dio “anzitutto è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera” (Gc 3,17). Gesù ci rivela un Dio diverso da come potremmo immaginarlo con la nostra fantasia, un Dio che interroga ogni volta, che ci interpella. 

Il Natale di Gesù ci presenta l’immagine di un Dio semplice, fragile, misericordioso. Ci racconta di un amore straripante che apre i cieli fino ad incontrare l’uomo. 

Il contenuto dell’annuncio è Cristo Signore. Il messaggio del Vangelo è chiaro. A chi cammina nelle tenebre è rivolto è un messaggio: c’è una via di salvezza, una luce nel buio. Gesù è luce. Non abbiamo altri contenuti se non questo: noi annunciamo Gesù, il Salvatore. Nei momenti bui della nostra vita, nelle situazioni complesse, nelle difficoltà questa luce diventa ancora più chiara. In questo periodo così complicato siamo chiamati a riascoltare questo messaggio: Gesù è la nostra salvezza.

Ho letto da qualche parte l’espressione “Gesù è il vaccino per questo tempo”. Non vi nascondo che questa espressione mi ha lasciato un po’ perplesso. Il vaccino è qualcosa che entra nel nostro corpo e ci guarisce senza nessuno impegno da parte nostra, senza coinvolgimento. Ci rende immuni rafforzando in noi l’idea che siamo chiamati ad essere superuomini forti e invulnerabili. 

Mi piace, invece, pensare a Gesù come il medico della nostra vita, così come ci viene presentato dal Vangelo. Lui è venuto per guarire l’umanità non con un effetto magico ma con la sua compassione. Come il buon samaritano si è caricato la nostra infermità. Lui è nostro salvatore perché è venuto a salvare “il suo popolo dai suoi peccati" (Mt 1,21). Non vergogniamoci di accostarci a Lui con i nostri peccati anche attraverso la confessione. “Se infatti l’ammalato si vergognasse di mostrare al medico la ferita” – scrive il Concilio di Trento - “il medico non potrebbe curare quello che non conosce”.

Il medico non guarisce senza di noi, così come Cristo non ci salva senza di noi: Dio, che ti ha creato senza di te, non può salvarti senza di te (S. Agostino). Per questo la conoscenza di Gesù cresce nell’amicizia con lui. Come Pietro, Lazzaro, Marta e Maria, Maria di Magdala, Matteo, Paolo impariamo a conoscere il Maestro solo amandolo e, diventando suo amico, impariamo a conoscerlo. 

La preghiera quotidiana, la lettura del vangelo, l’esame di coscienza ogni sera, la preparazione alla Messa e il ringraziamento personale dopo aver ricevuto l’Eucaristia sono piccoli passi attraverso i quali cresce l’amicizia con Gesù.

  • Analfabetismo religioso nella comunità cristiana

L’analfabetismo religioso caratterizza anche i nostri percorsi parrocchiali quando pensiamo che sia sufficiente avere per ogni gruppo di bambini un numero sufficiente di educatori, catechisti o responsabili senza preoccuparci di accompagnare ognuno nel cammino di fede. Senza una conoscenza del mistero di Cristo rischiamo di legare i i ragazzi a noi stessi, alle nostre opinioni o a cose imparate nel passato, di ridurre la trasmissione della fede ad una serie di tappe sacramentali senza annuncio del Vangelo.

Coinvolge i giovani delle nostre parrocchie che rischiano di anestetizzare la loro ricerca di Dio mettendolo in secondo piano rispetto al bisogno di amicizia e coinvolgimento. Ci sono tanti adolescenti che hanno come unico catechista internet o che hanno smesso di cercare Dio indossando l’abito di un ateismo cucito solo con filo dell’indifferenza e del conformismo. Chi si prenderà cura di loro?

Anche la fede degli adulti rischia di essere assorbita in un pragmatismo o di tipo devozionistico o ecclesiale dove la pratica religiosa anestetizza le domande di senso o asseconda uno stile di vita incapace di trasformare il nostro pensiero in quello di Cristo (cf. 1 cor 2,16).

Questa condizione interpella le nostre comunità sul primo annuncio della fede.

L’analfabetismo religioso ci chiede un linguaggio più semplice, essenziale, radicale. Come ai pastori, così sentiamo per noi questo primo annuncio: “Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore” (Lc 2,10-11).

Il primo annuncio degli angeli ci insegna uno stile con cui annunciare il vangelo:

1.    Gioioso: vi annuncio una grande gioia. Non dimentichiamo le parole di Papa Francesco: “più che come esperti in diagnosi apocalittiche o giudici oscuri che si compiacciono di individuare ogni pericolo o deviazione, è bene che possano vederci come gioiosi messaggeri di proposte alte, custodi del bene e della bellezza che risplendono in una vita fedele al Vangelo” (EG 168). L’analfabetismo della fede fa crescere la tristezza, l’apatia, la pigrizia. 

2.    Per tutti: i confini della parrocchia sono quelli del mondo. Per poter raggiungere tutti dobbiamo allargare il nostro sguardo fino a chi pensiamo sia più lontano da noi o dal Vangelo. “Per tutti” vuol dire che non possiamo pensare alla parrocchia come un luogo di élite, riservato ai soliti, a quelli che pensano che senza di loro tutto si fermerebbe. Non è un caso, purtroppo, che nel dire comune i termini “parrocchia” o “campanile” indicano interessi di parte, piccoli confini piuttosto che ponti. I nostri atteggiamenti dovrebbero avere la forza di scardinare questo luogo comune. 

3.    Oggi: l’annuncio della nascita di Gesù non è un evento del passato. È attuale, interroga il presente, l’uomo contemporaneo. Se siamo analfabeti nella fede come possiamo tradurre il messaggio del vangelo all’uomo di oggi? Cosa possiamo annunciare, cosa abbiamo da dirgli? Il vangelo è sempre attuale perciò non possiamo accontentarci di annunciarlo come abbiamo sempre fatto abbiamo bisogno di metterci in ascolto dello Spirito perché ci dia un nuovo entusiasmo della fede.

 

Carissimi fratelli e sorelle

Questo Natale ci trovi così come abbiamo chiesto nella benedizione di Avvento: saldi nella fede. In questo tempo abbiamo sperimentato situazioni e avvenimenti in cui ci siamo sentiti smarriti, insicuri, fragili.  

Ancora una volta facciamo nostra la preghiera di papa Francesco proclamata il 27 marzo dinanzi ad una piazza apparentemente vuota in cui tutti eravamo presenti:

«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Signore, la tua Parola stasera ci colpisce e ci riguarda, tutti. In questo nostro mondo, che Tu ami più di noi, siamo andati avanti a tutta velocità, sentendoci forti e capaci in tutto. Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato. Ora, mentre stiamo in mare agitato, ti imploriamo: “Svegliati Signore!”.

«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Signore, ci rivolgi un appello, un appello alla fede. Che non è tanto credere che Tu esista, ma venire a Te e fidarsi di Te. […]

«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». L’inizio della fede è saperci bisognosi di salvezza. Non siamo autosufficienti, da soli; da soli affondiamo: abbiamo bisogno del Signore come gli antichi naviganti delle stelle. Invitiamo Gesù nelle barche delle nostre vite. Consegniamogli le nostre paure, perché Lui le vinca. Come i discepoli sperimenteremo che, con Lui a bordo, non si fa naufragio. Perché questa è la forza di Dio: volgere al bene tutto quello che ci capita, anche le cose brutte. Egli porta il sereno nelle nostre tempeste, perché con Dio la vita non muore mai.

 

d. Domenico Giannuzzi

Natale 2020

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