Passa ai contenuti principali

Ringraziamento in occasione del XXV anniversario ordinazione presbiterale

L’“eccomi” pronunciato da Marino in questa piazza ci ha legati intimamente ai tanti “eccomi” pronunciati nella storia della salvezza e della chiesa. Tra questi emerge, con una sovrabbondanza di grazia, quello di Maria, la Madre di Dio. In una semplice casa di un piccolo paese in un giorno qualsiasi, la vergine di Nazareth ha detto il suo “eccomi” aprendo il cuore, la mente, il corpo alla presenza del Figlio di Dio. 


La trepidazione e la disponibilità del primo “eccomi” di Maria ci richiama alla mente quella degli apostoli presso il lago di Genesareth, quando, lasciato tutto, seguirono subito il Signore.


Questa sera siamo molto felici perché questa parola, pronunciata da un giovane della nostra Comunità, ci permette di amplificare la nostra disponibilità richiamando alla mente le storie e vite di ognuno di noi. Ciò che è avvenuto nella piccola casa di Nazareth, sulle sponde del lago di Tiberiade, nel cuore di tante donne e uomini seguaci di Gesù, ciò che è avvenuto nel nostro cuore, oggi lo abbiamo riascoltato come un dono per Dio ma anche per noi. Ringraziamo Marino per questo dono condiviso.


Eccellenza, 

La ringrazio per aver scelto questa data per l’ammissione di Marino: ha voluto così ricordare che la parrocchia è un luogo in cui non solo nascono, ma anche maturano, attraverso l’ascolto, la preghiera, la testimonianza quotidiana e silenziosa di tutta la Comunità, le vocazioni battesimali, laicali, matrimoniali, ministeriali e presbiterali. 

L’ammissione di Marino è per noi un richiamo ai percorsi giovanili che in questi anni hanno arricchito il cammino della nostra comunità. Abbiamo bisogno di ascoltare dai giovani i loro sogni, i loro desideri, le loro speranze. La giovinezza è una stagione bellissima della vita che va sostenuta, incoraggiata e accompagnata. La nostra presenza, questa sera, affianco a Marino è, perciò, un segno della vicinanza della chiesa ai giovani, alle loro scelte, alle loro domande e ricerche, alle loro disponibilità e ai loro sogni. 

L’allontanamento simbolico delle nostre famiglie ci ha richiamato non solo la gratitudine per i nostri genitori e familiari, ma anche la consapevolezza che riceveremo dal Signore il centuplo di ciò che abbiamo donato.


L’eccomi di Marino mi ha richiamato non solo la bellezza e il fascino dei primi passi ma anche l’ultimo incontro di Gesù con Pietro, sempre nello stesso posto, nello stesso luogo in cui il Maestro lo aveva chiamato la prima volta: il lago di Genesareth. Dopo tre anni e il Risorto ritrova il suo discepolo lì dove lo aveva incontrato la prima volta, nelle stesse condizioni, preso dalle sue piccole cose, e rompe il silenzio di questo nuovo incontro con una domanda: “mi ami?”. 

Il lago di Tiberiade per me è questa piazza!

Per un disegno della Provvidenza, dopo 25 anni, ci ritroviamo qui, nello stesso posto, con la stessa domanda, con le reti tra le mani, con la stessa trepidazione ed entusiasmo e con un filo di tristezza che accompagna la consapevolezza della distanza fra la ricchezza della misericordia di Dio e la povertà della nostra vita ma anche con il desiderio di ricominciare a seguirlo. 

Dopo 25 anni sento ancora viva in me la domanda del Signore: “Mimmo, mi ami tu?”. 

Una domanda che mette in relazione necessariamente il ministero del presbitero con la sua sorgente: l’amore. 

Ringrazio il Signore per questo appuntamento e per questo spazio su cui si affacciano le reti che il Maestro mi ha affidato, su cui sento risuonare l’invito ad amarlo con la carità pastorale che muove ogni opera, ogni preghiera, ogni pensiero della vita del presbitero. Dopo 25 anni, riascoltando con voi le letture della XXII domenica dell’Anno C, proclamate nel giorno delle mia ordinazione, ho voluto rinnovare la mia adesione a quella parola che provvidenzialmente mi ha indicato strade, atteggiamenti, scelte per il mio ministero.

Questa piazza è per me il simbolo dei luoghi in cui ho imparato a declinare le tre preposizioni che si intrecciano nella vita del prete: in, con e per. 

In questi anni ho compreso che non posso vivere il mio ministero se non nella piazza, vivendo gli spazi e i luoghi abitati dalla comunità. Ma potremmo stare in piazza, come questa sera, restando su un palco, uno di fronte all'altro, uno sopra l’altro.

Per questo la seconda preposizione: con.


Nella prima stesura del testo “Esperienze pastorali”, don Lorenzo Milani aveva riportato una fotografia di una processione del Corpus Domini. 

Sui marciapiedi la gente guardava il SS. Sacramento portato da due sacerdoti. Così il commento di don Milani: “i due sacerdoti che guidano la processione notano che la maggior parte dei parrocchiani guardano il corteo che avanza, senza parteciparvi. Identico è il loro pensiero, diverse però le loro preghiere, il proposto: “Perdonali perché non sono qui con te”. Il cappellano: “perdonaci perché non siamo là con loro”. Sento mia questa preghiera per le volte che ho pensato e vissuto il sacerdozio come un privilegio, un motivo di separazione, un ruolo o un prestigio. Per le volte che ho lavorato meno di 8 ore al giorno, di 6 giorni alla settimana, meno di un operaio, per le volte che non sono stato capace di esprimere la vicinanza di Dio a chi aveva bisogno di Lui. 

In questa piazza il Signore mi ha chiamato ad essere per gli altri, non a loro posto, non su di loro. Vorrei tanto il che il mio cuore fosse come una piazza: aperto a tutti, dove ognuno si sente a suo agio e a suo posto, quasi trasparente, silenzioso, capace di costruire una comunità senza pretendere di essere riconosciuto o apprezzato.

Se dovessi sintetizzare questi 25 anni lo farei attraverso queste tre preposizioni: in, con, per e con l’immagine di questa piazza. So bene che una piazza non si presta immediatamente  alla sacralità dei nostri riti, che potrebbe essere confusa con una sorta di ingerenza nella città o con uno spazio in cui atteggiamenti di vicinanza e comunione potrebbero essere confusi con ideologie tramontate alla fine degli anni ‘80.

Ma questo timore scopare ogni volta che, nella messa, come questa sera, ritrovo le stesse preposizioni nella lode al Padre: per Cristo, con Cristo e in Cristo.

Senza di Lui saremmo semplici banditori, venditori di prodotti preoccupati di contare i like o gli indici di gradimento, organizzatori di eventi piuttosto che costruttori di comunità. Solo attraverso Cristo una piazza, come questa sera, diventa uno spazio sacro, un'anticipazione della Gerusalemme che scende dal cielo “in cui non vediamo alcun tempio se non il Signore Dio, l'Onnipotente, e l'Agnello” (cf. Ap 21,22).

Quando libereremo la piazza da riflettori e i microfoni, palco e sedie, resterà uno spazio, non meno sacro, in cui siamo chiamati a riconoscere ancora la presenza di Cristo tra gli schiamazzi dei bambini e la dedizione degli educatori e volontari, nelle chiacchierate sincere ed entusiaste dei giovani, nei loro progetti, sogni e fatiche. Nelle soddisfazioni, negli svaghi e nelle sofferenze delle famiglie e anziani. Nella piazza ci sono tutti: credenti e non credenti, lontani e vicini, familiari e amici, curiosi e distratti, cittadini e stranieri, benestanti e poveri, santi e peccatori, tutti… così come dovrebbero trovare spazio nel cuore del prete.

In questa piazza ho pianto mentre salutavo alcuni che ora non sono più tra noi, tra questi alcuni giovani che hanno lasciato un segno indelebile nella mia vita e nel mio ministero, tra questi Gianfranco la cui presenza e assenza ha segnato profondamente la mia vita.

Su queste pietre spesso ho chiacchierato con due preti che vorrei ricordare: mons. Gaetano Lenoci e mons. Giovanni Tritto. Ho avuto la gioia di poter muovere i primi passi del mio ministero avendo affianco a me chi mi aveva preceduto nel servizio di parroco sin dagli anni ‘40. Da loro ho imparato a declinare la carità pastorale attraverso una comunione presbiterale fatta di stima reciproca, rispetto, incoraggiamento, ascolto e condivisione. Così come ho avuto la gioia di condividere il servizio in parrocchia con presbiteri più giovani con i quali la condivisione nel ministero è stata arricchita dall’amicizia. A loro ho cercato di dare ciò che avevo ricevuto.

In questi anni mons. Paciello e mons. Ricchiuti, a cui rivolgo il mio profondo ringraziamento, mi hanno affidato compiti che mi hanno permesso di apprezzare e conoscere nel loro ministero i sacerdoti della diocesi facendo diventare quel gesto iniziale dell’imposizione delle mani una condivisione nel servizio alla Chiesa. Ho celebrato questa Eucaristia per i sacerdoti defunti che ho conosciuto in questi anni e che ricordo con grande gratitudine. Ringrazio tutto il presbiterio diocesano e ogni presbitero che ho cercato di servire in tutti i compiti che mi sono stati affidati: ho imparato tanto da gesti, scelte pastorali, atteggiamenti. Ho apprezzato una comunione presbiterale fatta di linguaggi concreti, silenziosi e quotidiani. Con loro ringrazio i diaconi, con i quali condivido l’indelebile stola del servizio, e i seminaristi.

Permettetemi un ringraziamento particolare al Seminario di Molfetta. Ho avuto la gioia di essere ordinato presbitero dal mio rettore mons. Agostino Superbo: la sua umiltà, essenzialità e disponibilità mi sono stati d’esempio. Sono un prete “made in Molfetta”, come amava dire don Tonino Bello, e lo sono rimasto nell'affetto per le persone che ho conosciuto, gli amici di corso, per i seminaristi che hanno svolto il tirocinio pastorale sin dall'inizio del mio ministero in parrocchia. Non posso non ricordare questa sera quanti con me hanno iniziato questo percorso e, pur percorrendo strade nuove, non mi hanno privato della loro amicizia fraterna. 

In questa piazza si affaccia la nostra parrocchia. Ogni giorno sento quanto mai vere nei confronti della parrocchia le parole di Paolo: “non abbiate alcun debito se non quello di un amore reciproco” (Rm 13,8). Mi sento in debito perché so di aver ricevuto molto di più di quanto sono stato capace di dare. è un debito che so bene che non riuscirò mai a contraccambiare. Se è vero che, col tempo, la parrocchia assume alcuni tratti del parroco, per me è stato vero il contrario: la parrocchia ha limato le mie spigolosità, mi ha insegnato la pazienza dell'agricoltore, ha dato motivazioni nuove alla mia vocazione. Con voi ho cercato di vivere le parole di S. Agostino con cui 25 anni fa ho iniziato il mio ministero: “è vero che vi custodiamo in forza dell’ufficio affidatoci, ma vogliamo essere custoditi insieme con voi. Nei vostri confronti siamo come pastori, ma rispetto al sommo Pastore, siamo delle pecore come voi”. 

Di una chiesa preferisco il sagrato al campanile: mi piace vedere così la comunità che mi è stata affidata, a partire dal sagrato, da uno spazio tra la Chiesa e la piazza, piuttosto che un campanile preoccupato di ergersi sugli altri. Un sagrato da cui ripartire ogni volta, in modo sempre nuovo, su chi ascoltare, ancora una volta, l’invito di Gesù: “seguimi”. In questi anni sono state per il mio servizio pastorale le parole di S. Giovanni Paolo II: “A Giubileo concluso sento più che mai il dovere di additare il Concilio, come la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX: in esso ci è offerta una sicura bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre”. Ringrazio Dio perché mi ha chiamato alla vocazione presbiterale in questo tempo così complesso e nuovo in cui gli insegnamenti, gli orientamenti e le indicazioni del Concilio Vaticano II sono stati una bussola costante nel cammino di rinnovamento personale e comunitario.


Questa piazza assume una veste particolare nei giorni della festa patronale. Non vorrei perciò distrarre l’attenzione di tutti da un momento così importante e significativo per la nostra città. Tra pochi attimi accompagneremo l’immagine della nostra Protettrice in cattedrale. 

La conclusione delle feste in onore della nostra protettrice assume un significato particolare, nel silenzio, nella preghiera e nel saluto si intrecciano emozioni, preghiere, auspici per un nuovo anno.

Vorrei concludere chiedendovi di pregare per me e con me.



Pietro mi ami tu?

Signore, tu lo sai che ti amo

che ci ho provato quando ho sentito in me il desiderio di donarti la vita

che ho tentato di fare di te la bussola del mio cammino

che mi sono fidato delle tue parole e promesse.


Signore tu sai tutto

sai che ti cerco e non sempre riesco a trovarti

sai che ti vorrei vicino ma a volte mi allontano

sai che mi fido di te ma ho paura di lasciare tutto


Signore tu sai che sbaglio

che ricomincio e poi cado

che inciampo e non mi lascio sollevare

che mi perdo e non ritorno in fretta da te


Signore tu sai che ti amo 

e sai anche che per quanto ne sia capace

non ti amerò tanto quanto tu ami me.


Signore oggi, come la prima volta, 

come le altre volte, 

come ogni volta

sento solo per me una parola che 

segna in modo indelebile il mio cuore:

Seguimi.


don Domenico Giannuzzi

2 settembre 1995-2020

Commenti

Post popolari in questo blog

Il Verbo si fece carne. La piccola via della santità

  A Betlemme, 2000 anni fa, è avvenuto qualcosa di straordinario, inimmaginabile: Dio ha scelto di diventare uno di noi, di essere presente nella storia dell’umanità attraverso la vita, le parole, i silenzi di Gesù di Nazareth. Oggi siamo qui per fare memoria di questo grande mistero con l’umiltà dei pastori e lo stupore dei magi.  In una notte qualsiasi si è accesa una piccola luce in una delle tante casette di Betlemme e, nel vagito di un bambino, è iniziata la storia di Dio in mezzo a noi. L’incarnazione di Gesù è un mistero avvolto dal silenzio, dalla contemplazione e ci chiede il salto dello fede. In cosa crediamo? a. La presenza di Dio Innanzitutto, il Natale di Gesù ci dice che Dio desidera stare con gli uomini, parlare con loro come ad amici, essere presente con la sua carne, la sua storia, la sua vita. Nella naturale indifferenza della città, Dio si fa presenza. Essere presenti vuol dire accorciare le distanze! Egli “scende dalle stelle” e “viene in una grotta”.  A volte si

Natale 2021

“Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce” - omelia Natale 2021 In questi giorni un ragazzo mi ha scritto in un messaggio: v orrei capire dove stia andando la mia vita e dove Dio mi chiede di orientarla. Mi daresti un consiglio? La domanda mi ha lasciato un po’ stranito perché non è facile capire dove orientare la propria vita, sapere dove Dio la stia muovendo (non è facile per la propria, ma ancor di più per gli altri). Ho conservato per me questa domanda lasciandomi interrogare dal tempo liturgico del Natale. Nei racconti dell’infanzia di Gesù vi sono uomini e donne che cercano un orientamento: i pastori e i magi; il vecchio Simeone, Maria e Giuseppe. Così come nel primo testamento è possibile cogliere come in tutta la storia di Israele vi sia un cammino verso qualcosa. Ce lo ho ricordato Isaia: “Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce”. “Dove stiamo orientando la nostra vita? Da cosa sono mosse le nostre scelte?” sembra sia la stessa dom

Un nuovo modo di apparire

omelia di Pasqua  All’alba della domenica di Pasqua Gesù appare a Maria di Magdala, a Pietro e Giovanni, e, nel vespro, agli Apostoli, ai discepoli di Emmaus. Gesù appare ai discepoli Il verbo “apparire” è utilizzato con un duplice significato: Il primo fa emergere una dicotomia, una contraddizione. Utilizziamo questo verbo per sottolineare la distanza fra ciò che è vero, essenziale, nascosto e ciò che, invece, si mostra: appare ma in realtà non è così. Questo atteggiamento – ci ricorda Gesù nei vangeli - potrebbe caratterizzare anche l’uomo di fede che si preoccupa di far vedere, di apparire, di mostrare. Non a caso mette in guardia i sacerdoti, gli scribi e i farisei. Il secondo significato è presente nei Vangeli della risurrezione dove Gesù appare ai discepoli. Qui l’apparire, come sottolinea s. Giovanni, ha le caratteristiche della luce. Apparire non vuol dire nascondere ciò che vero ma, al contrario, farlo conoscere, mostrarlo . Perciò dal modo con il